La Corte d'assise d'appello di Milano ha condannato a 16 anni di carcere, dimezzando così la pena di 30 anni inflitta in primo grado in abbreviato,Marco Villa, accusato di avere ucciso a coltellate l'ex socio William Lorini, nel maggio 2018.
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La Corte, presieduta da Giovanna Ichino, ha concesso le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti. La madre della vittima è scoppiata in lacrime dopo la lettura del dispositivo. "Una sentenza sconvolgente, così si giustifica chi vive un'esistenza senza regole, con abuso di droga e alcol", hanno commentato i legali di parte civile, gli avvocati Michele Andreano e Alessandra Silvestri. Le motivazioni saranno depositate entro 30 giorni.
Il sostituto pg Fabio Napoleone aveva chiesto la conferma della condanna del 29enne per omicidio volontario, senza attenuanti generiche e con l'aggravante dei futili motivi. Stamane, poco prima dell'inizio dell'udienza, rendendo dichiarazioni spontanee in video collegamento dal carcere, l'imputato ha chiesto scusa alla famiglia della vittima e ha detto di essere molto dispiaciuto per quanto accaduto.
Il difensore dell'imputato, l'avvocato Annalisa Guardone, aveva chiesto alla Corte la riqualificazione del reato in omicidio preterintenzionale, l'esclusione dei futili motivi e la concessione delle attenuanti generiche in quanto Villa "ha confessato e ha collaborato alle indagini che si sono svolte in modo celere". Il legale aveva anche chiesto ai giudici di valutare la "storia" del giovane che "non è solo di indigenza e di difficoltà economica: parliamo di una vita di maltrattamenti e di una persona che ha subito traumi importanti sin da quando era solo un bambino". L'avvocato di parte civile Silvestri stamattina ha depositato una memoria "a commento dell'atto di appello dell'imputato" in cui, oltre a contestare la richiesta della difesa di riqualificare il reato in omicidio preterintenzionale, ha ribadito la sussistenza dell'aggravante dei futili motivi.
Nell'atto dell'avvocato Silvestri si riteneva che la confessione dell'imputato sia stata "una mera rivendicazione dell'atto compiuto" e non un gesto dovuto a "pentimento o a senso di responsabilità". La confessione, inoltre, secondo il legale di parte civile, "non è risultata indispensabile, né astrattamente utile, all'accertamento dei fatti". Anche la lettera di scuse inviata alla famiglia della vittima, secondo i difensori di parte civile, è valutabile come "banale asserzione di resipiscenza utile allo scopo difensivo dell'imputato e priva di alcun reale contenuto".
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