La voce di Antonella Ruggiero torna a volare tra le volte di una grande Basilica. Oggi, nella Giornata Internazionale del Volontariato e del passaggio di testimone tra Padova, Capitale Europea del Volontariato 2020, e Berlino, esce infatti Empatia, un disco di canzoni sacre registrato lo scorso febbraio (disponibile su shop.antonellaruggiero.com) ma anche, a sorpresa, con un brano tra i più belli dei Matia Bazar, il primo, Cavallo bianco: "Nella magnifica Basilica di Sant'Antonio a Padova ho tenuto il mio ultimo concerto prima dell'epidemia e il primo dopo il lockdown, una coincidenza strana e non voluta" dice la Ruggiero.
Per 14 anni ha vissuto un successo travolgente in Italia e all'estero come cantante dei Matia Bazar: "Matia era il mio nome d'arte, l'avevo scelto per esibirmi da solista, volevo un nome che fosse al tempo stesso maschile e femminile. La storia della pazzerella la raccontavamo per i giornalisti, come certe foto che andavano fatte per la stampa". La sua voce diventò il marchio inconfondibile in una serie di memorabili melodie: Solo tu, Cavallo bianco, Vacanze romane, Ti sento. Nel 1989, proprio nel momento di massima notorietà, l'addio alla band, la maternità, sette lunghi anni di silenzio. Poi il ritorno da artista solista, le sperimentazioni tra musica etnica ed elettronica, l'interesse per la musica sacra.
Antonella Ruggiero è appena tornata da Berlino, sua seconda casa: "Tra una settimana ho due concerti, uno in un teatro e uno in una cattedrale, ma senza pubblico, andranno poi in streaming su Internet per Natale".
Come cambia il suo rapporto con l'esibizione, senza pubblico?
"Una basilica vuota è molto suggestiva, tutto diventa surreale. Vivere un concerto così non mi era mai successo nella vita ma è un'esperienza interessante e non mi dà problemi di sorta, la concentrazione è ancora più intensa. Del resto io in concerto mi concentro così tanto che è come se mi chiudessi in una bolla".
Nel disco lei canta anche un brano da "Libera", il primo da solista dopo l'esperienza nei Matia Bazar, ma ne cambia il testo, perché?
"In questi anni mi è accaduto di cambiarne il testo due volte, per adattarlo alla situazione. La prima volta è stato per un concerto a Berlino, nella sinagoga di Rykestrasse, la più grande tra quelle rimaste in piedi dopo la Notte dei cristalli. Era musica della tradizione ebraica, e con Il viaggio ho voluto inserire ho inserito un testo che si adattasse all'evento: con i propri brani si può fare ciò che suggerisce la creatività e la mente".
Stavolta è un alleluja agli angeli del cielo, ma nell'originale del '96 era un tripudio per la libertà, di esplorazione del mondo.
"Beh sì, perché raccontavo quel che mi accadeva, dopo la maternità e sette anni di voluta lontananza dalle scene e dall'ambiente della musica che avevo frequentato per 14 anni con il gruppo. Dopo quella svolta mi sono finalmente dedicata a tutto ciò che avevo sempre avuto in mente, e cioè cambiare radicalmente le cose, lavorare con i musicisti dalle provenienze più lontane e interessanti. Libera fu l'approccio alla mia vita da solista, e su quella linea ho continuato fino ad oggi".
Inseguiva la musica etnica, la musica del mondo.
"Sì, esatto. E in quegli anni avevo anche questa grande voglia di andare in India, inseguivo cose che sin da bambina avrei voluto vedere, mi intrigava scoprire cosa accadeva da quelle parti. Sono stati quasi dieci anni di viaggi intensi, finché non mi sono resa conto che avevo concluso quell'esperienza. Mi accade spesso di vivere una cosa fino in fondo e di sentire poi l'esigenza di mettere un punto".
È lì che ha scoperto la spiritualità?
"Non sono andata in India per questo, né sono tornata ispirata da un guru. Era un interesse che avevo sempre avuto sin da quando, bambinetta di 12 anni, seguivo i Beatles e la loro infatuazione per l'India. Poi naturalmente sono stata interessata agli anni del grande rinnovamento sia della musica sia della società, al movimento hippie che mi affascinava molto. Un interesse che era rimasto sospeso nell'aria fin quando non mi sono resa conto che era arrivato il tempo di andare".
Cosa ha scoperto in India?
"Avevo un interesse da antropologo, volevo andare a vedere le persone e cosa succedeva da quelle parti. E ho visto e sentito musica interessantissima, ho incontrato persone molto stimolanti, ma ho visto anche tante contraddizioni che mi hanno fatto capire che in fondo non c'era tutto quel gran misticismo che mi aspettavo. Più che una scoperta è stato importante essere lì in quel momento, con loro, non andavo certo negli alberghi di lusso, andavo nei paesini e nei villaggi, a guardarmi intorno. A notare anche com'era il mondo femminile, come erano trattate le donne, solo le donne molto ricche vivevano una vita degna ma solo perché sfruttavano altre donne, chiamate al posto loro a fare i lavori più duri. Nell'ultimo viaggio poi mi sono resa conto che certi monaci avevano il cellulare e allora mi sono detta che era proprio finita. Nel '99 ho vissuto l'ultima coda di ciò che era stato il mito dell'India. Mi sono rimaste le suggestioni legate ai suoni che ho tirato fuori nel tempo".
L'interesse per la spiritualità dei suoi dischi più recenti è stata per lei una costante o una scoperta?
"C'è stato sin da bambina, ricordo che avevo 8 anni quando all'interno di una chiesa di Genova sentii un organo liturgico antichissimo: sono rimasta incantata per quel suono, un ricordo che non mi ha mai abbandonato fino a quando nel 2001 ho fatto il mio primo lavoro legato alla musica sacra. Certa musica antica contiene elementi che tirano fuori una predisposizione alla ricerca interiore ma ben oltre i fanatismi, questo non ha nulla a che fare con i rituali della religione e con i dogmi, che mi trovano invece abbastanza scettica. Nella mia visione ideale capisco e apprezzo chi si isola in un monastero lontano da tutti, senza obblighi. In questi miei viaggi ho capito che tutte le religioni possono essere fonti di grande condizionamento, nulla a che fare con la libertà di pensiero e con la spiritualità".
Parla spesso di sacralità del suono.
"C'è intensa sacralità in certe voci umane come in alcuni strumenti. Ci sono voci che sono quasi ipnotiche, il controtenore ha delle caratteristiche sovrumane, certe voci di grandi cantanti d'opera lasciano un segno profondo. Ma è un suono personale, non c'è nulla di studiato, sono doti naturali. Pure il violoncello ha la sua bella voce".
Anche lei si difende bene.
"Io canto liberamente, senza impostazione, ho avuto la possibilità di esprimermi e in tanti anni di continuare ad imparare mentre mi esprimevo. Di stare su un palco, anche se poi il palco che cos'è? Il palco è il luogo dell'esibizionista, tutti lo guardano e lui è felice, invece a me non me ne frega proprio niente. Il palco non è altro che un luogo definito in cui nel mio caso avviene il canto, un territorio che delimita lo spazio".
In questo disco ci sono vari brani dedicati alla figura di Maria, a cominciare dal brano dalla Buona Novella di De André.
"È un brano che suonavamo parecchi anni in concerto con la Pfm, da allora dentro di me l'ho sempre dedicata al mondo femminile che sappiamo è abbastanza maltrattato e non dovrebbe essere così, per l'intelligenza, per la sensibilità, per il lavoro doppio e malpagato, per l'infinita pazienza. E poi però in televisione passano certi filmati: se la donna si propone in questo modo, come se fosse un dovere essere seducenti, sexy, anche un po' volgari, mi dite come se ne esce?".
Antonella Ruggiero canta "Creuza del ma" alla Fiumara
Nei Matia Bazar oltre a cantare suonava vari strumenti, anche le congas.
"La ritmica mi ha sempre incuriosito, il ritmo è una dote naturale come l'intonazione: o ce l'hai oppure nessuno te lo può insegnare. Ma io giocavo molto in quel periodo".
Al culmine della notorietà lasciò la band, cosa la spinse?
"Sono andata via perché non avevo più il minimo interesse a vivere la ripetitività delle tournée invernali e estive, a ricoprire quel ruolo in un gruppo di successo, a dedicare il tempo a un disco all'anno. Finché è durata è stata interessante. Poi con altre modalità ho continuato a fare musica, anche se per sette anni mi sono allontanata e l'ho soltanto ascoltata".
Si sarà anche divertita nei Matia Bazar, o no?
"Figuriamoci, abbiamo girato mezzo mondo, dal Sud America al Giappone. E in Unione sovietica dove abbiamo fatto dei giri magnifici: non c'erano affatto cose tremende, ho frequentato persone che ci invitavano a casa loro a mangiare cose semplici, ma la loro cultura e la loro fierezza di quegli anni noi ce la sogniamo. Ora è cambiato tutto, la tecnologia ha spazzato via tutte queste cose, ci sono lusso estremo e pacchiano, body guard e miliardari, ma anche periferie degradate. In quegli anni l'Urss era poetica, la musica e la cultura erano al primo posto, e quando vedi persone comportarsi così nonostante le restrizioni le ammiri, vuol dire che dentro hanno cose interessanti".
Con i Matia Bazar avete realizzato canzoni straordinarie, portandole in qualche caso senza troppa fortuna a Sanremo. Vinceste il Festival nel '78 con "E dirsi ciao", non certo la vostra canzone più bella.
"Sono d'accordo, non lo era affatto. Ma Sanremo è sempre stato uno strano mondo, ci sarebbe da dire tanto sulle varie vicende legate alle partecipazioni e alle vittorie. Ma lasciamo andare, del resto una rassegna così esiste solo in Italia e in Cile a Vina del Mar. Da noi i bambini non imparano la musica e l'arte, però c'è il Festival, dove tutti vogliono andare, dai cantanti ai giornalisti, un circo, come se fosse chissà cosa, il premio Nobel".
Anche con questo suo nuovo album lei sembra dire che la musica è altrove.
"Per fortuna c'è un'infinità di cose magnifiche da trovare, cose che le radio e la tv non passano e che vanno cercate. Magari andando indietro nel tempo. Ci sono meraviglie nella musica antica o nell'elettronica di un certo tipo. L'ultima volta che sono rimasta quasi choccata dalla bellezza di una musica è stato nel 2002 ascoltando il gruppo islandese dei Mùm, specialmente la voce magica della cantante. Oggi cosa c'è? Certo, la musica degli anni Settanta era un'altra cosa, imparagonabile con quella di oggi. Ma, per dire, alla fine del giro dei talent, dove vanno a finire questi giovani cantanti che ripetono il già visto? Perché non hanno mai un'evoluzione?".Original Article
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