Il Covid non fa fermato la transizione sostenibile delle aziende italiane. Più della metà dichiara infatti di aver sviluppato un piano green di medio-lungo periodo e una buona parte di queste di averlo strutturato con target quantitativi. Le grandi imprese, con fatturati superiori al miliardo di euro, sono le più strutturate e si confermano le più consapevoli che l’integrazione della sostenibilità passa attraverso un nuovo modello di business. Tuttavia, anche le aziende con fatturati inferiori iniziano ad evolversi verso modelli di sviluppo virtuosi sulla falsariga dei grandi player.
Modalità di indagine
E’ la prima istantanea che emerge dallo studio “Seize the Change – futuri sostenibili”, realizzato da EY, multinazionale nei servizi professionali e di consulenza, che da oltre 5 anni analizza i più significativi trend per le imprese italiane. L’ultima edizione ha aumentato il campione di aziende prese in esame (oltre 300), attive in settori chiave dell’economia italiana: 100 realtà, di cui la fetta più consistente sotto i 500 milioni di euro di fatturato, sono state analizzate attraverso una survey condotta tra giugno e ottobre 2021; mentre un’analisi desk sulle informative non finanziarie relative al 2020 è stata condotta su 203 aziende del Paese, di cui 31 quotate al Mib40, l’indice costituito dalle 40 società a più alta capitalizzazione di mercato a Piazza Affari. Cinque i temi analizzati da EY con metriche qualitative e quantitative: piani di sostenibilità, cambiamenti climatici, catena di fornitura, finanza sostenibile, economia circolare più impatto sociale.
Piani di sostenibilità
Sulla base della survey emerge come il 69% delle aziende (-1% sul 2019) ha previsto un piano di sostenibilità corredato da obiettivi. Nel 44% dei casi sono formalizzati target quantitativi e il 35% delle aziende analizzate ha definito anche le relative tempistiche per il raggiungimento degli obiettivi. Sulla base dell’analisi desk, emerge invece come il 57% delle aziende fornisce una descrizione qualitativa e/o quantitativa del proprio piano di sostenibilità (+7% sul 2019). Nel complesso, per oltre 1/3 il mutato contesto non ha provocato impatti nella transizione. In questo ambito, i settori più reattivi sono insurance&banking (67%) e Ict/hi-tech (44%) “Al netto delle aziende quotate, il bicchiere è mezzo pieno perché crescono le imprese che dichiarano di impegnarsi per la sostenibilità con piani concreti”, spiega Riccardo Giovannini, Climate Change e Sustainability leader di EY in Italia.
Rischi climatici
La survey riporta che il 53% delle aziende prevede azioni per il cambiamento climatico nel proprio piano industriale (+21% sul 2020). Il 19% ha un piano strategico orientato alla neutralità climatica e il 35% dichiara di aver già intrapreso un percorso di decarbonizzazione, che tuttavia non è correlato agli obiettivi dell’Ue. Il dato migliora nell’analisi desk che include le aziende quotate: quasi 3 su 4 si pongono obiettivi qualitativi e/o target quantitativi di riduzione delle emissioni. Lo scenario appare in rapida evoluzione tanto che già il 14% delle aziende ha annunciato un obiettivo di neutralità carbonica. Telco/media (50%) e food/beverage (30%) sono i settori che si distinguono con piani industriali di decarbonizzazione sostenuta, anche se non legata a target quantitativi. La quota sale nei settori insurance&banking (56%) ed energy/utilities (70%) dove i piani prevedono investimenti e azioni concrete per la carbon neutrality. “La svolta impone nuovi modelli di business. Per accompagnarla, c’è bisogno di tempo e l’impatto non è omogeneo per tutti”, dice Giovannini.
Catena di fornitura
Due anni dopo il Covid, segnala lo studio, il rischio principale risulta ancora l’interruzione operativa della filiera. Dall’analisi desk, risulta che quasi 1 azienda su 2 effettua azioni di risk assessment, cioè valutazioni di rischio, sui propri fornitori (40%). Nel complesso, il 71% delle aziende ha previsto però di apportare modifiche alla propria catena di fornitura: il 45% per selezionare i propri fornitori in modo più responsabile, il 3% perché alcuni stakeholder hanno reso più stringenti i criteri di selezione, il 19% per entrambe le precedenti motivazioni. Infine, il 29% non ha previsto sostanziali cambiamenti alla propria struttura di approvvigionamento. “La fascia di fatturato che dimostra maggior controllo della propria catena di fornitura è quella sopra i 1.000 milioni di euro, al pari del 2019. Nelle fasce sottostanti il livello di monitoraggio si riduce, ma si conferma in aumento rispetto all’anno precedente”, segnala Giovannini.
Finanza sostenibile
Nel 33% delle informative non finanziarie analizzate (203), si riportano iniziative legate alla finanza sostenibile: il trend è in crescita dell’8% sul 2019. E’ possibile, fa notare lo studio, che i maggiori incentivi europei ed internazionali abbiano determinato una spinta verso i prodotti finanziari green. Tale tendenza può essere riconducibile alla progressiva entrata in vigore di norme Ue con intento definitorio. “Tra i vari prodotti finanziari sostenibili, quelli più diffusi sono i green/social impact/sustainability linked bonds”, puntualizza Giovannini. Un altro dato importante è che il 35% delle aziende dichiara di aver sviluppato strategie di investimento responsabile di cui il 18% è firmatario del Pri (Principles for responsible investment). L’84% dichiara di aver implementato queste iniziative, il settore Insurance&Banking in testa.
Economia circolare
È in continuo aumento il numero di aziende (70%) che ha avviato negli ultimi 2 anni l’analisi dei propri processi operativi in ottica di efficientamento delle risorse. I settori più attivi risultano tessile/abbigliamento, industriale, energia&utilities che rappresentano il 50% delle aziende che hanno definito una strategia di economia circolare. Se le aziende italiane mettono in atto progetti e iniziative di questo tipo (46%), tuttavia rimane ancora poco diffusa la definizione di una strategia strutturata sulla circolarità (solo il 20%). Infine, il 64% delle aziende sono attive nel creare valore sul territorio.