MILANO – La miccia l'hanno accesa in largo anticipo Ibrahimovic e Lukaku, col loro diverbio di Coppa Italia in diretta tivù. I protagonisti stessi si affannano a sminuire, come è legittimo: era solo un petardo. Ma la corsa a spegnerlo è un po' complicata, ora che Milan e Inter sono sempre più in gara per lo scudetto. In teoria l'esito dell'inchiesta appena aperta dalla procura federale potrebbe arrivare proprio a ridosso del derby di campionato del 21 febbraio, fondamentale se non essenziale per la suddetta gara. I due club si augurano ben prima l'archiviazione del caso. Che sia opportuno ridimensionare la rissa soltanto verbale tra i centravanti, riconducendola entro i confini del duello sportivo, ormai tutti lo riconoscono e si affidano al mantra: sul campo l'adrenalina scalda sempre gli animi, che poi si raffreddano. Tuttavia, se si resta nell'ambito agonistico, da anni le punzecchiature reciproche tra le squadre milanesi non erano così numerose. E le sfide nella sfida – dalla scrivania alla panchina al prato, Marotta-Maldini, Conte-Pioli, Lukaku-Ibra, Barella-Donnarumma, Eriksen-Çalhanoglu – da anni non avevano uno sfondo così vivace: lo sfondo dello scudetto.
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Milan e Inter come ai vecchi tempi
A San Siro, come ai vecchi tempi, il derby di ritorno si giocherà alle tre del pomeriggio di domenica, anche se, con lo stadio vuoto, di antico avrà soprattutto la premessa: una vigilia lunga tre settimane e senza esclusione di frecciate, come quando metteva in palio il campionato. Stavolta è troppo presto per dirlo, perché il confronto arriva alla ventitreesima giornata e dopo ce ne saranno altre quindici. Ma Milan e Inter, oggi separate da due punti, sanno che può diventare la partita più importante della stagione. Nessuno supera i limiti del fair-play. Però nessuno fa concessioni all'avversario. Maldini e Marotta puntualizzano le rispettive posizioni: Ibra non è razzista ed è assurdo anche solo pensare il contrario, Lukaku non è aggressivo e la scena l'hanno vista tutti. Il derby da scudetto senza uno o senza entrambi i due punti di forza, per squalifica, è un'ipotesi che non viene nemmeno contemplata. Il pensiero comune a Milanello e alla Pinetina è un altro: come arrivare all'appuntamento nelle migliori condizioni possibili.
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Le trappole del calendario
Per il Milan sembra più facile. L'eliminazione dalla Coppa Italia gli garantisce un calendario meno fitto: due abbordabili partite di campionato (Crotone e Spezia), più una non impossibile di Europa League (la Stella Rossa), che però cade in trasferta a Belgrado il 18, tre soli giorni prima del derby. Per l'Inter il programma è più complicato a livello tecnico (le due semifinali di Coppa Italia con la Juventus, inframmezzate dalla partita con la Fiorentina, poi il 14 il duello con la Lazio), ma contempla una settimana senza impegni prima di affrontare i cugini. Anche per questo Pioli e Conte nell'approccio al derby dovranno affidarsi all'intera rosa: un po' di turnover è necessario e la sfida Ibra-Lukaku, la più appariscente, non può esaurire i motivi di un duello che si profila anche come un'intensa gara di tattica tra allenatori particolarmente attenti alla materia.
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Le mosse di Conte e Pioli
Se l'attenzione mediatica, anche in forza della fresca lite, si è già concentrata su Ibra e Lukaku, la stagione dice che in realtà i protagonisti in grado di decidere la sfida potrebbero anche essere altri. I meno pubblicizzati sono i due registi virtuali: Çalhanoglu reduce dal Covid, che di mestiere fa il trequartista ma è spesso l'innesco dell'azione, ed Eriksen reduce dall'esilio in panchina e nient'affatto certo di giocare, che di mestiere faceva il trequartista ma sta imparando l'arte della regia più arretrata. I più solidi sono Donnarumma, portiere miracoloso, e Barella, ubiquo del centrocampo: due giovani italiani come simbolo del momento attuale di Milan e Inter. Che ribalta, almeno in parte, il dna degli ultimi cicli vincenti in campo europeo. Il Milan, quando nel 2007 vinse ad Atene la finale di Champions col Liverpool, aveva 7 titolari italiani: Oddo, Nesta, Maldini, Gattuso, Pirlo, Ambrosini, Inzaghi, più Favalli, Gilardino e Brocchi in panchina. L'Inter del Triplete del 2010 firmato Mourinho, quando vinse la finale di Madrid col Bayern, esibì 11 stranieri su 11 titolari all'inizio e il solo Materazzi in passerella conclusiva al posto dell'eroe della serata Milito, mentre Toldo e Balotelli rimasero in panchina. Oggi Pioli ha solo tre italiani titolari (Donnarumma, Calabria e Romagnoli) e un quarto (Tonali) titolare aggiunto. Invece l'ex Conte, anche se i titolari italiani sono tre pure per lui (Barella, Bastoni e spesso Gagliardini), ne utilizza volentieri anche altri: nell'ultima col Benevento ha schierato in partenza Ranocchia e ha fatto entrare Sensi e Pinamonti, di solito non disdegna l'impiego di Darmian e D'Ambrosio. Solo il campo potrà dire se sarà un derby come ai vecchi tempi. E' vecchio, ma resiste, il teatro. L'iter per l'abbattimento del Meazza appare oggi più lento: le vicende sul possibile cambio di proprietà dell'Inter stanno congelando il percorso burocratico in Comune per il progetto del nuovo stadio a San Siro.
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