Twitch non è più quella di una volta. Non è solo videogiochi e gameplay. Non è solo ragazzi e ragazze che giocano tutto il giorno, che interagiscono con la chat, con gli abbonati, con gli spettatori occasionali, e che intanto si disperano, si lasciano andare alla rabbia, alla frustrazione o alla felicità. Twitch, oggi, è una delle tantissime nuove frontiere dell’intrattenimento mondiale. Una buona parte dei suoi accessi deriva da chi fa “just chatting”, e cioè parla con i suoi follower, li intrattiene, costruisce momenti particolari e chiacchierate, si confessa, prova ad andare oltre la bidimensionalità del domanda-e-risposta.
In Twitch, Amazon – che l’ha comprata intorno al 2014 per circa 1 miliardo di dollari – ha visto qualcosa di più di una semplice piattaforma streaming. Ha visto un’occasione. Quella di poter finalmente trovare un punto di contatto tra produzioni dal basso, fai-da-te, povere ma convinte, e produzioni dall’alto: ricche, ben costruite, con un pubblico già consolidato. Twitch è una città-stato online, con il suo regolamento (rigidissimo: il rischio di ban, momentaneo o permanente, è dietro l’angolo) e con una sua community convinta di creator e di sostenitori.
È una piccola economia: gli spettatori possono abbonarsi, collegare il loro account Prime, fare donazioni. Ogni creator – ogni titolare di canale, ogni creativo e videomaker – ha la massima libertà (entro, chiaramente, i confini tracciati dalla stessa Twitch). Può giocare, come dicevamo; può ballare, fare ginnastica, costruire modellini, dipingerli, tenere dei veri e propri talk show; disegnare, suonare, cantare. Può anche cucinare, guardare video e programmi. Commentarli. Tenere dei cineforum (come fa, per esempio, il canale di Badtaste, il giornale online). O curare delle vere e proprie rassegne stampa (ogni giorno, N3rdcore, che è ancora un piccolo canale, riorganizza le ultime novità sul mondo dell’intrattenimento – videogiochi, cinema, tv – e le commenta in diretta).
Rispetto a YouTube non c’è la mediazione del video registrato e ricaricato. Il servizio è migliore, la qualità dell’immagine più stabile; c’è un’effettiva visibilità per chi va in live, visto che può finire nella home del sito e può essere scoperto da chiunque. Su Twitch, tutto va online e in diretta. Se sbagli, sbagli: buona la prima. Non è come la televisione, ma ci si avvicina: alcuni streamer – chi fa, cioè, dirette streaming – hanno un loro palinsesto, un loro programma, e informano puntualmente il loro pubblico. Alcune volte le dirette durano ore, addirittura giorni. C’è chi, coinvolgendo i suoi spettatori, comincia maratone che vanno avanti per settimane intere. Durante la pandemia (quindi tra la fine del 2019 e l’inizio del 2021), Twitch ha avuto un’esplosione. Sono aumentati i contatti, le visualizzazioni medie, e sono aumentati anche i creator di un certo spessore. Twitch, per molte persone, è stata una compagnia, un sostegno, un passatempo a cui potersi abbandonare.
Molti youtuber – vuoi per i tempi, vuoi per la possibilità economica – hanno aperto un account sulla piattaforma di Amazon. Ed effettivamente, negli ultimi mesi, è in corso una vera e propria migrazione da un sito all’altro (YouTube però continua a guadagnare grazie ai clic, alle ricerche su Google, agli accessi anche occasionali: non è così facile da sconfiggere). Su Twitch, c’è la pubblicità. Ma se ti abboni al canale che segui – per una media di 5 euro al mese oppure gratuitamente, con il tuo account Prime – puoi evitarla. Su Twitch si possono vedere film in compagnia (solo quelli disponibili su Prime Video di Amazon) e si possono seguire più videogiocatori contemporaneamente, raggruppati in una squadra.
Si possono seguire divulgatori scientifici (come Adrian Fartade di Link4Universe) o veri e propri teorici dei fumetti (come Dario Moccia, caso piuttosto particolare, e Cavernadiplatone). La dimensione domestica delle produzioni, tanto raccontata dal servizio di Report andato in onda l’11 gennaio, è solo una delle tante in cui questi creator si muovono. Non c’è solo l’aspetto amatoriale in questo – relativamente – nuovo settore. C’è anche chi, come Yotobi, che è sulla piattaforma da quasi 10 anni, ha trovato uno studio, si è organizzato, ha acquistato una certa strumentazione, e ha costruito un calendario di dirette piuttosto preciso. Fare da casa non è un limite, e non è nemmeno – come ha sempre riportato Report – una condanna. È una possibilità. Produttore, scrittore e presentatore, su Twitch, sono spesso la stessa persona. E se da una parte è una sfida, per una questione di costi e contenuti, dall’altra è pure l’opportunità di poter crescere, di poter sviluppare una propria professionalità. Pensiamo, per esempio, a Sabaku No Maiku. Nato come youtuber, ha aperto anche un canale Twitch, che ha potenziato – con attrezzature e strumentazioni – nel corso del tempo. Ora, nella sua produzione, le due cose – YouTube e Twitch – convivono, si sostengono a vicenda, e sono complementari.
Ma Twitch può rappresentare anche un caso interessante per lo sviluppo di vere e proprie filiere – scandite in ogni istante, in ogni parte – produttive. Dario Moccia, per esempio, è riuscito a raccogliere nel giro di due anni un gruppo di creator e di influencer piuttosto importante, che fanno parte della storia – della “lore”, come si dice – del suo canale. Ci sono veri e propri personaggi. Vere e proprie maschere. Chi frequenta la chat del canale ripete tormentoni, frasi, modi di dire. Dario Moccia gioca ai videogiochi, parla con i suoi follower e organizza anche delle interviste, una delle ultime a Rocco Tanica. Ogni giorno ha un programma diverso. C’è un ricambio costante, impressionante, di pubblico: mediamente raggiunge i 10 mila spettatori contemporanei: un’enormità, soprattutto per la parte italiana di Twitch.
Su Twitch, come ha anche detto CKibe – disegnatrice e illustratrice – nel servizio di Report, c’è uno scambio effettivo, potente, tra chi va in streaming e chi lo segue; c’è la possibilità, per il pubblico, di sostenere direttamente un canale (con donazioni che a volte superano le centinaia – e le migliaia – di euro). Ognuno deve scegliere la propria linea editoriale. Dada, per esempio, è riuscito a consolidare il proprio seguito giocando al role play – con un nuovo personaggio, una nuova storia, una nuova situazione – di GTA. Poi ha cambiato titolo, si è spostato su Zelda. E ora il suo canale è cresciuto enormemente.
Ma non è solo questo: non è solo giochi, intrattenimento, chiacchiere. Twitch è anche la piattaforma dell’ASMR, di parole sussurrate al microfono, di ragazze che intrattengono il loro pubblico ballando e mostrando nuovi vestiti. È anche la piattaforma di collettivi come il Cerbero Podcast, di recente protagonista di una polemica nata dopo un’intervista concessa al quotidiano Domani. Attenzione, però: se i creator violano le regole, se commettono abusi, violenza, se usano termini eccessivi, la piattaforma, con il suo sistema di moderazione e controllo, interviene.
Alcuni canali, è vero, si mantengono sulla linea sottile, precaria, tra lecito e illecito, tra contenuto ed eccesso, ma sono eccezioni. Twitch non è nata ieri, ha una storia decennale sulle spalle, è seguita da una delle corporazioni più potenti e ricche del pianeta. Vuole competere direttamente con chi fa live, e vuole farlo con i suoi show, con la sua programmazione. Il suo regolamento cambia ogni giorno: è dinamico, in un certo senso. Proprio com’è dinamico Internet: non si può, banalmente, chiudere la rete e chi la frequenta in un recinto.
Nel mondo, Twitch ha assunto tantissime facce. Negli Stati Uniti è ancora fortemente contraddistinta dal gaming. Nei paesi latini, i canali stanno letteralmente esplodendo, raggiungendo talvolta centinaia di migliaia di visualizzazioni. Ma su Twitch, proprio come succedeva nei primissimi anni della televisione commerciale, c’è tutto. Si deve solo scegliere cosa o chi seguire. Non è il nuovo nemico pubblico numero uno; non è il male assoluto; non è una gabbia per i più giovani. È precario, vero: un giorno un canale può essere sulla cresta dell’onda, il giorno dopo rischia di fallire. Ma è in piena espansione. Ha i suoi lati oscuri (come tutte le cose), ma ha pure i suoi momenti di condivisione, di contatto sincero tra community e di confronto. Se non conosciamo una cosa, o se non la capiamo nel profondo, non dobbiamo subito demonizzarla. Dobbiamo provare a capirla. E Twitch non è solo creator che vivono in case minuscole, che passano ore e ore davanti al computer, che guadagnano decine e decine di migliaia di euro (non è l’eccezione, ma non è nemmeno la regola: ci sono delle spese da fare; e le donazioni arrivano solo in parte ai canali – se sono fatte tramite Paypal, una percentuale, una commissione, va anche al servizio di pagamento).
Twitch è un frammento del prossimo futuro. Un futuro che, per inciso, stiamo già vivendo. Un futuro in cui non esiste solo un intrattenimento lineare, come quello televisivo, in cui la base di creativi è molto più larga, in cui chiunque può – se vuole, se riesce – provarci. È estremamente competitiva, Twitch. Soprattutto dal punto di vista dei numeri. Soprattutto a determinati livelli. E spesso inciampa in errori, in assurdità, in cose che, per una certa generazione, non sono immediatamente chiare. Ma Twitch rimane, come dicevamo all’inizio, una possibilità. E il contatto effettivo e immediato che dà con il pubblico è uno dei motivi per cui tanti volti dello spettacolo stanno aprendo i loro canali.
Alessandro Cattelan parla di serie tv e di attualità, gioca a qualche videogioco e impara a conoscere Twitch discutendone con Fabio Rovazzi e con altri creator come Pow3r. Fedez, invece, passa buona parte del tempo rispondendo alle domande dei suoi follower, guardando video o provando nuovi titoli; occasionalmente, con lui, c’è anche Chiara Ferragni. Sul suo canale, Pierluigi Pardo gioca a FIFA, il videogioco di calcio.
Su Twitch non è vietato bestemmiare (non espressamente: rimane proprietà di una società americana, con una sensibilità e un’idea ben precisa di libertà di espressione). Non si può riprodurre musica protetta da copyright. Non si possono insultare, prendere in giro e denigrare gli altri – cosa che, invece, continua a succedere nella televisione pubblica italiana: pensiamoci. Si urla, si esagera, si parla di sesso e se ne parla sinceramente, senza mezzi termini; si consigliano cose da vedere, da leggere (ci sono anche dei club del libro, come quello di Jacopo Masini su CulturaPopITA, o del fumetto), cose da condividere. Le persone che seguono i canali, su Twitch, trovano amici, si innamorano, interagiscono in rete. In un certo senso, è figlia dell’Internet dei forum, delle chat, dei lunghissimi topic monotematici. C’è chi si nasconde dietro il proprio nick. Chi, in chat, minaccia, aggredisce e accusa l’altro: ma c’è pure chi, ogni giorno, è pronto a chiederti "come stai?". Come tutti gli strumenti, Twitch non è perfetta. E il suo successo deriva proprio da chi l’utilizza, da chi la frequenta: se la sua community è buona o cattiva, è merito – o colpa – di chi, quotidianamente, si connette. Non è tv, non è YouTube, non è solo gameplay. È un’altra cosa. E per fortuna.