Dalla prossima primavera molti articoli di consumo potrebbero costare di più. Casalinghi, arredamenti da giardino, giocattoli, accessori tecnologici di ogni tipo e altro ancora: il rincaro riguarda tutto quello che può essere messo in un container in un porto cinese destinato all’Europa.
Nel mondo della logistica sta avvenendo una tempesta: il costo per trasportare un container dalla “fabbrica del mondo”, cioè la Cina e i Paesi dell’estremo oriente, ha subito un aumento senza precedenti. Se fino a un anno fa la norma erano 1.500 dollari un container da 40 piedi (i più diffusi), oggi spedizionieri e importatori lamentano che quella cifra è moltiplicata almeno per quattro.
“In trent’anni di lavoro non ho mai visto cifre del genere” spiega Martino Ormesani, della ditta di spedizioni che porta il suo cognome. “Molte imprese del settore sono nel panico perché nei mesi scorsi hanno firmato accordi con la grande distribuzione con prezzi già fissati e penali da pagare in caso di ritardo. Ora si chiedono come faranno. Una società olandese ha persino noleggiato tre navi: in pratica si sono messi a fare anche gli armatori”. Ormesani spiega che nelle settimane precedenti il Capodanno cinese i prezzi sono sempre aumentati “ma al massimo potevano raddoppiare, non arrivare ai livelli che vediamo oggi”. Durante il Capodanno cinese i lavoratori tornano ai loro paesi e villaggi e le fabbriche non tornano a pieno regime prima di un mese; per questo motivo americani ed europei ordinano più merce possibile nelle settimane precedenti, sapendo che dopo avranno “un buco”.
Ettore Biacchi è il responsabile legale dell’omonima azienda che gestisce Verdelook, un marchio che vende articoli da giardino e casalinghi. Pochi minuti prima della nostra telefonata, spiega, “mi hanno cancellato la prenotazione di 44 container. Non mi hanno nemmeno spiegato perché. La nave partirà tra poche ore, ma a bordo non ci sarà la mia merce. Rimarrà in porto e chissà per quanto tempo”.
L’azienda di Biacchi, come moltissime in Italia, in Europa e negli Stati Uniti, dipende in larga parte dalla produzione cinese. Se le fabbriche cinesi non “sfornano” i prodotti, o se quei prodotti non vengono spediti, il business salta. “I contratti firmati questa estate con gli armatori, a 1350 euro a container, sono carta straccia: c’è chi ne chiede 6000”.
Queste dinamiche possono sembrare lontane dai consumatori italiani, ma quello che si sta consumando negli inaccessibili porti del mondo ha conseguenze dirette su tutti. Biacchi fa un esempio pratico: “Un’arella ombreggiante di bambù, che vendo normalmente a un euro al metro quadro, oggi costa 1,70”. Un aumento del 70% che potrebbe verificarsi su molti altri prodotti.
“Ma questo, se vogliamo, non è nemmeno il problema principale. Qui rischiamo di non avere proprio la merce in tempo per la primavera” aggiunge l’imprenditore. Già, perché nel frattempo nei porti cinesi i container vuoti sono diventati merce rara. E quei pochi valgono oro.
Il rimpallo. Ma perché è diventato così costoso trasportare merce dalla Cina? Le due controparti – armatori da una parte, spedizionieri e importatori dall’altra – forniscono letture opposte. In estrema sintesi i primi danno la colpa al Covid, gli altri accusano le compagnie di navigazione di fare cartello per alzare i prezzi.
Maersk ci spiega che “di fronte a un aumento della domanda, le misure prese in tutto il mondo per contenere la pandemia stanno causando problemi all’intera filiera: mancano navi, container e tir. In più è diminuita anche la produttività nei porti, nei magazzini e nei terminal sulla terraferma”.
La carenza di container viene spiegata anche con un calo della produzione di oltre il 40% tra il primo semestre 2019 e il primo semestre 2020.
La compagnia danese, il maggior armatore al mondo, dice di aspettarsi una “normalizzazione entro la prima metà del 2021” e che, da parte loro, stanno “lavorando duro per mitigare la situazione, mettendo a disposizione tutte le navi e le attrezzature a nostra disposizione”.
Su un punto, le due parti sostengono tesi opposte. Gli armatori dicono che c’è stato un aumento della domanda di container (e quindi di merce); gli importatori sostengono che sì, rispetto ai lockdown di primavera, quando i commerci internazionali crollarono, c’è stata una ripresa, ma siamo ben al di sotto dei livelli pre-pandemia. “Sin dall’inizio della pandemia dovuta al Covid-19, le compagnie di trasporto containerizzato hanno provato a gestire la propria capacità di offerta sulla base della previsione dell’andamento del mercato. La domanda da parte dei clienti è stata superiore alla capacità di stiva offerta” spiega Maria Michela Nardulli, presidente di Italia Marittima Spa, che fa parte della taiwanese Evergreen, quarta compagnia al mondo nel trasporto di container.
Le fa eco Maersk, che dice sostanzialmente la stessa cosa: “Durante il lockdown abbiamo assistito a un calo dei commerci a due cifre e siamo stati costretti a ridurre la nostra capacità di stiva. Nel terzo trimestre c’è stato un’inattesa risalita della domanda, guidata da Usa ed Europa anche grazie agli stimoli che i governi hanno fornito all’economia. Ci siamo mossi subito per mettere in campo tutte le forze disponibili, ma nel frattempo a causa del Covid si sono creati colli di bottiglia”.
La pensa in modo totalmente diverso Carlo Scarpa, vicepresidente di Fedespedi, la federazione nazionale delle società di spedizione internazionale. “Le compagnie di navigazione hanno alzato i prezzi in modo artificiale, e lo hanno fatto in un modo molto semplice: riducendo il numero delle navi in partenza per riempirle il più possibile”. E lo hanno fatto, sostiene Scarpa, perché i commerci sono diminuiti, non certo aumentati. “È ovvio che se mi metti a disposizione una stiva più piccola, per riempire quegli spazi noi dobbiamo pagare di più. È una politica che va a loro esclusivo vantaggio, a detrimento di tutti gli altri” continua il vicepresidente di Fedespedi, che aggiunge: “Il 2020 è stato un anno d’oro per gli armatori, con guadagni triplicati”.
È ancora più diretto l’imprenditore Biacchi: “Ormai il trasporto via mare è in mano a Msc, Maersk e la cinese Cosco. Ci vuole poco per mettersi d’accordo. Qualcuno ci deve delle spiegazioni”.
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