"Tutto iniziò da bambino, nel dopoguerra, quando da Feltre, la mia città, mi portavano in gita a Venezia. A quei tempi, vicino alla Chiesa della Salute c'era una fornace che affacciava sulla calle, per attirare i turisti. Io rimanevo lì davanti per ore, a guardare ipnotizzato l'alchimia magica della nascita del vetro. C'era il forno, che ardeva a più di mille gradi, e il maestro vetraio, che soffiava in una lunga canna, dilatando un magma incandescente prelevato dalle fiamme, a cui intanto dava forma a colpi di pinze e forbici. Esecuzione 'a mano volantè si chiama. Una danza veloce e silenziosa del soffiatore e dei suoi aiutanti – il servente, il serventino, il garzonetto – che, in un viavai dal forno, si passavano di mano in fretta la canna con la massa rovente. Perché raffreddandosi il vetro si consolida e, per riuscire a modellarlo, bisogna tornare ad ammorbidirlo nel fuoco. Quel rituale fiammeggiante è entrato per sempre nel mio immaginario".
Ferruccio Franzoia si appassiona ancora nel ripercorrere il lontano ricordo, la cui scia si è mantenuta viva negli anni. Nel frattempo ha studiato architettura con il grande Carlo Scarpa, ha progettato, costruito… E ha collezionato: mettendo insieme una delle più importanti raccolte di vetri veneziani del Novecento. Capolavori di un'arte per secoli trasmessa di padre in figlio. Di un mestiere ingrato – giorni interi in quelle botteghe infuocate – riscattato però dall'orgoglio della propria maestria, tutta virtuosismi e segreti.
Ora Franzoia dona l'intera sua collezione – 880 vetri d'autore – alla Galleria Rizzarda di Feltre, vicino a Belluno, che già espone i manufatti di Carlo Rizzarda, artista del ferro battuto d'epoca Liberty: balaustre, lampade, decorazioni, spesso arricchite a loro volta da dettagli in vetro. "Carlo era il fratello di mia nonna: lasciò in testamento a Feltre il suo palazzo, con quadri e mobili", spiega il pronipote. "Oggi trasferire lì i miei soffiati è come portarli in una vecchia casa di famiglia". Una dimora che, tra oggetti Liberty in ferro, arredi Belle Époque e, ora, preziosi vetri del primo Novecento, diventa un museo d'arti decorative unico al mondo. L'inaugurazione della nuova ala, inizialmente programmata per il 19 dicembre, è purtroppo legata ai bollettini della pandemia.
A firmare l'allestimento è lo stesso Franzoia, che ha voluto mantenere un'atmosfera casalinga ("le vetrine sono più credenze da salotto che bacheche da museo") e seguire un itinerario capriccioso. In fondo la sua scelta dei pezzi è sempre stata guidata da colpi d'estro, dalla rincorsa di emozioni, ricordi, assonanze… "Il mio cuore batte forte per Murano e per i migliori soffiati degli anni tra le due guerre, ormai assai rari", racconta il collezionista. "I vetri stranieri non mi appassionano: troppi Lalique e cristalli di Boemia sono stati ripetuti all'infinito".
Star della collezione: Vittorio Zecchin, pittore veneziano di raffinata cultura europea, che si confrontò con la Secessione viennese, per poi migrare alla sapienza del vetro. Era il 1921 quando gli fu affidata la direzione artistica di una vetreria innovativa, appena aperta a Murano dall'antiquario Giacomo Cappellin e dall'avvocato Paolo Venini. Subito Zecchin segnò una svolta epocale nello stile dei soffiati, ancora viziato da eccessi ornamentali, ghirlande e fioriture ormai appassite.Con lui il vasellame si fece d'un tratto essenziale, leggero, delicato e trasparente nei colori: ispirato alla pittura veneziana del Cinquecento, alle mense di Tiziano, Tintoretto, Veronese… "Zecchin disegnò qualche migliaio di modelli per la Cappellin Venini, ma non tutti entrarono in produzione", continua Franzoia. "Nella prima sala del museo espongo 120 pezzi esemplari".
Nella seconda, invece, a primeggiare è Carlo Scarpa: l'architetto e designer fu di casa a Murano dal 1926 fino all'immediato dopoguerra, prima lavorando per Cappellin, poi per Venini, che nel frattempo avevano liquidato la ditta comune e aperto fornaci in proprio. "Con Scarpa il vetro esce dal mondo delle arti decorative e diventa poesia", afferma Franzoia. "La sua è una continua sperimentazione di nuove forme e tecniche esecutive, magari recuperate dal passato e cadute in disuso. Tanto che non sempre le sue idee furono messe sul mercato, perché troppo difficili da eseguire". E qui Franzoia si lancia nel ricordo di lavorazioni dai nomi suggestivi e misteriosi per i non addetti ai lavori: avventurine, lattimi, reticelli, sommersi, corrosi, bollicine… Tutti evocati con la voluttà che si riserva solo alle grandi passioni.
Gemme fragili e preziose che fin dal Medioevo andarono a ruba tra sovrani e nobili d'Europa. Tanto che nel Rinascimento i maestri soffiatori acquisirono il privilegio di maritare le proprie figlie alle più prestigiose famiglie della Serenissima. E nel Seicento tremila persone, quasi la metà della popolazione di Murano, aveva ormai a che fare con l'industria del vetro. Producendo capolavori puramente decorativi, ma anche oggetti d'uso domestico: bicchieri, brocche, ampolle, vassoi, cestini… Quei "vetri da mensa" che Franzoia ha sempre amato ("Bere in un bel calice potenzia il piacere del vino"). E che ora, di varie epoche e manifatture, affollano la terza sala della Galleria Rizzarda. Tra le chicche, un servizio di bicchieri e caraffe firmato Cappellin e appartenuto ad Arturo Toscanini: "Lo acquistai da un antiquario di New York, che lo aveva avuto dalla figlia del grande direttore d'orchestra".
Anche il mercato del vetro è inquinato dai falsi? "Più che mai, da quando i prezzi sono svettati. Ormai ci vogliono migliaia di euro per un bel soffiato d'epoca. E un vetro di Scarpa ha superato i centomila dollari in America. Solo un occhio esperto scansa le patacche". Lei dove acquista? "In negozi, aste, fiere d'antiquariato… Ma anche nei mercatini: scoprire un buon pezzo prima degli altri è un'emozione". Le migliori trouvaille? "Nei magazzini recentemente dismessi della vetreria Cvm, Compagnia Venezia Murano, che all'inizio del secolo scorso produceva servizi da pranzo per i Savoia. C'erano vecchi tesori ancora imballati nella paglia…" Ha mai avuto la tentazione di disegnare lei stesso per le fornaci di Murano? "Sì, ma l'orgoglio mi ha frenato: come cultore, puoi solo svettare. Altrimenti è meglio lasciar perdere".
Sul Venerdì dell'11 dicembre 2020
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