“È proprio identico. Ricordo ogni cosa: i letti fatti di assi, il freddo, i topi… Mamma dormiva per terra. Mia nonna e le mie sorelle vi morirono di fame.” Emozionata fino alle lacrime, Lenina Makeeva, 85 anni, entra sorretta da un giovane volontario in divisa in una delle baracche del campo di concentramento. Quattro torri di guardia sovrastano uno spiazzo. La neve cade sulle foreste e i laghi della Carelia, nell’estremo nordovest della Russia. Sotto il cappotto, l’abito della veterana è pieno di onorificenze. Da bambina, trascorse più di tre anni di prigionia con la sua famiglia in uno di questi campi dove i finlandesi, alleati della Germania nazista, tra il 1941 e il 1944 rinchiusero prigionieri civili e militari russi. “Nel campo non c’erano camere a gas, ma la gente moriva di fame, di malattie e di stenti a causa dei lavori forzati” rammenta.
Sotto l'occhio delle telecamere
I ricordi di Lenina Makeeva sono reali. Il campo, che lei ha “inaugurato” sabato scorso sotto l’occhio delle telecamere, invece, lo è molto meno e sta suscitando accese polemiche. Altro non è, infatti, che un ex fondale cinematografico, recuperato dal set di un film d’epoca e installato da alcune settimane nel bel mezzo del nulla, nei pressi del piccolo abitato di Vatnavolok, a un’ottantina di chilometri da Petrozavodsk, capitale della Repubblica di Carelia. Secondo le fonti ufficiali – per le quali questo sito senza uguali “non ha nulla di un’attrazione” – scopo principale di questa ricostruzione è ricordare alle scolaresche e ai visitatori l’eroismo del popolo russo, vittima della ferocia dell’occupante finlandese. Si tratta di un progetto che rientra a pieno titolo nella visione patriottica e difensiva della “verità storica” messa in atto da Vladimir Putin. Del resto, il finanziamento necessario a realizzarlo è stato garantito in parte (tre milioni di rubli, pari a 34mila euro) da un fondo presidenziale per lo sviluppo della società civile, vale a dire il Cremlino. Gli organizzatori hanno annunciato che alle visite saranno abbinate anche “attività patriottiche”, sotto forma di conferenze e laboratori.
La "verità storica"
“Lo scopo ufficiale di questo progetto è mantenere viva la memoria storica di quei tragici eventi” ha spiegato sabato, in occasione di una conferenza storica in loco, Natalia Abramova, presidente dell’associazione locale che ha voluto il progetto. “Per ricostruire il campo, ci siamo basati sui ricordi degli ex prigionieri bambini” aggiunge. “Gli scolari oggi sanno dell’esistenza dei campi di concentramento nazisti, ma molti ignorano quella dei campi in Carelia, dove migliaia di bambini persero la vita dietro le recinzioni di filo spinato”. Secondo Abramova, “i sopravvissuti hanno imparato che nessun popolo deve dominarne un altro”. Il riferimento ai vicini finlandesi, con i quali si intreccia una storia plurisecolare, è esplicito. A una settimana dall’apertura del campo, tuttavia, Helsinki non ha ancora diffuso un comunicato ufficiale. “Non penso che la verità storica possa nuocere alle nostre relazioni con la Finlandia” ha detto Sergueï Kisseliov, ministro della “Politica regionale e nazionale” della Carelia.
L'offensiva d'inverno
Il 30 novembre 1941, l’Unione Sovietica sferrò l’“offensiva d’inverno” contro la Finlandia. Preoccupato dall’espansione della Germania, Stalin aveva reclamato alcuni territori strategici al Paese confinante le cui frontiere a quel tempo si trovavano ad appena 37 chilometri da Leningrado. Fu inutile e questo convinse il capo del Cremlino che i vicini finlandesi non si sarebbero battuti al fianco dell’Urss. Gli obiettivi sovietici furono conquistati a carissimo prezzo e con perdite enormi (138mila morti nei ranghi dell’Armata rossa).
Venticinquemila civili imprigionati
Nei finlandesi, invece, quell’offensiva fece nascere un sentimento di forte ostilità nei confronti dei russi e un desiderio di vendetta. Così, il 26 giugno 1941, Helsinki dichiarò guerra all’Urss al fianco di Hitler che aveva appena infranto il “patto” Molotov-Ribbentrop di non aggressione e lanciato l’operazione “Barbarossa”. La Carelia venne occupata subito quasi per intero, insieme a una parte dei territori di Murmansk e Leningrado. Il capo dell’esercito finlandese, Carl Mannerheim, a quel punto decretò la reclusione della popolazione russa nei campi, un centinaio in tutto, di cui 14 di concentramento. In seguito a quell’ordine, furono imprigionati venticinquemila civili (su una popolazione totale di 85mila persone). Secondo gli storici russi, nei campi di concentramento finlandesi persero la vita 14mila persone. La Finlandia, invece, parla di 4060 morti. D’altronde, i soldati dell’Armata rossa fatti prigionieri furono 65mila.
“Ai finlandesi succede spesso di deformare la storia. I registri sui quali si basano contengono molti errori” ragiona Denis Popov, giovane storico dell’università di Petrozavodsk. Secondo Popov, il progetto al quale ha preso parte egli stesso dovrebbe permettere di “contestualizzare il dialogo con gli storici finlandesi e sollecitarli a fare calcoli più precisi delle vittime e dei campi”. “Questa occasione si presta a riallacciare un dialogo costruttivo” approva Natalia Abramova.
Il malcontento degli abitanti
Al “campo” di Vatnavolok si arriva percorrendo una trentina di chilometri di una strada dissestata che fa sorgere qualche dubbio sulla possibilità effettiva di condurvi le scolaresche con gli autobus. In un primo tempo, il progetto doveva vedere la luce nel centro della città di Kondopoga (30mila abitanti), ma il malcontento degli abitanti della cittadina lacustre ha indotto gli organizzatori a modificare i loro piani. Anche così, però, gli animi non si sono placati. “Perché realizzare un campo fasullo, quando quelli veri esistono ancora oggi?” si chiede Gueorgui Tchentemirov, un giornalista del posto che ci accompagna nella “sezione numero 5”, a Petrozavodsk. Migliaia di russi furono rinchiusi prigionieri in ghetti come quello. In tutto, in città ne furono creati sette: erano konzlager, campi di concentramento dai quali i prigionieri potevano uscire, sotto scorta armata, soltanto per recarsi ai lavori forzati. “Nel campo in Carelia, la mortalità fu più alta rispetto ai campi nazisti: nel 1942 arrivò al 13,7 per cento contro il 10,5”, afferma lo storico Denis Popov.
Baracche ancora abitate
Le baracche – fabbricati malsani di legno – sono tuttora in piedi, e spesso sono abitate dai figli e dai nipoti degli ex detenuti: ci vivono ancora oggi, in condizioni di grande squallore e lerciume. Lisa, che condivide con l’anziana madre un minuscolo alloggio fatiscente, dice: “Mio padre da piccolo ha abitato qui”. Il programma di ricollocamento dei prigionieri ha accumulato così tanto ritardo che ormai nessuno vi crede più.
Un'altra memoria storica
“Alla fine della rissa, non si agitano più i pugni” dichiara Sasha, citando un vecchio proverbio russo. È preoccupato per le ripercussioni del progetto sulle relazioni economiche con la Finlandia, della quale la Carelia ha un estremo bisogno. Altri, infine, sospettano che le autorità vogliano nascondere un’altra memoria storica, quella dei massacri perpetrati dalla polizia politica sovietica NKVD, durante il “Grande terrore” (1937-1938). Lo storico Yurij Dmitriev ha riportato alla luce il sito nella foresta di Sandarmokh dove sarebbero state fucilate e sepolte novemila persone. Si parla di crimini che infangano una narrativa nazionale eroica e che lo stato russo è reticente a ricordare. Perseguitato da molti anni, Yurij Dmitriev è stato accusato adesso di pedofilia e rischia fino a tredici anni di carcere. Dalla sua cella, in una lettera ha scritto che “non abbiamo nessun bisogno di quell’esotico campo farsa…”.
(Copyright Le Figaro/Lena-Leading European Newspaper Alliance. Traduzione di Anna Bissanti)
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