TEL AVIV. Un aereo è atterrato la settimana scorsa dall'Etiopia in Israele, portando con sé più di 300 ebrei etiopi che da anni attendevano questo momento. Non si tratta di profughi o immigrati in cerca di lavoro. Per loro, e per la legge dello Stato d'Israele, sono ebrei che fanno ritorno alla loro antica patria dopo duemila anni di esilio.
Sul volo c'era anche la ministra per il rimpatrio )Aliya) e l'integrazione, arrivata in Etiopia per accompagnare questo gruppo di rimpatriati che ha ricevuto il via libera dopo anni di attesa. La ministra, Pnina Tamano-Shata, è lei stessa etiope, arrivata in Israele a tre anni con la sua famiglia dopo un'epopea incredibile. È cresciuta in Israele, è diventata avvocato e oggi è ministro. Giovedì scorso sono atterrate 316 persone, il giorno dopo altre 80. Sono i primi arrivati dopo la decisione del governo israeliano di rimpatriare a breve duemila Falashmura, così si chiamano questi ebrei etiopi che attendevano da anni di ricongiungersi alle loro famiglie trasferitesi anni prima in Israele.
Ad accoglierli sotto l'aereo appena sbarcati, il premier Netanyahu: "I nostri fratelli ebrei dall'Etiopia arrivano nella Terra d'Israele. Una mamma bacia la terra, mentre tiene in braccio una neonata che si chiama Yerushalaim e un'altra Esther".
Ma in Israele c'è chi sostiene – anche tra la stessa comunità ebraica etiope – che i nuovi immigrati dall'Etiopia non siano effettivamente ebrei che ritornano nella loro patria, bensì cristiani o musulmani che hanno trovato il modo di trasferirsi in un Paese occidentale.
La storia delle comunità ebraiche della diaspora è molto complessa e alle volte anche sconosciuta, così come quella del continente africano. Tutto diventa ancora più complesso quando la storia ebraica si interseca con quella dell’Etiopia.
Gli ebrei etiopi la cui appartenenza al popolo ebraico non è in discussione sono chiamati in Etiopia "Beta Israel". Abitavano in villaggi separati dal resto della popolazione, leggevano i loro testi sacri, non hanno mai smesso di osservare uno stile di vita conforme alle regole ebraiche, nonostante fossero perseguitati per questo. Questi ebrei si trovano già tutti in Israele. Sono arrivati con le grandi e drammatiche operazioni di rimpatrio: negli anni '80 con l'Operazione Mosè ne giunsero in Israele circa 8000. Nel 1991, con l'Operazione Salomone, altri 14,000. Nell'estate del 2013 ne sono arrivati altri 7000 con l'operazione "Ali di Colomba". Dopo il loro arrivo, in molti casi si è appreso che parte dei familiari era rimasta in Etiopia. E si scoprì che c'era un altro gruppo, chiamato Falashmura.
Chi e quanti siano esattamente i Falashmura è la grande domanda al centro del dibattito. Secondo loro, sono ebrei che sono stati costretti a convertirsi al cristianesimo, o che hanno finito per convertirsi per la difficoltà che comportava affermare l'identità ebraica in Etiopia. Nel XV secolo, l'imperatore Yeshaq ha costretto gli ebrei a convertirsi, pena la perdita dei diritti sulle loro proprietà. Più tardi, nel periodo chiamato "il tempo maligno" – sette anni consecutivi di siccità, guerra ed epidemie iniziati nel 1888, in cui persero la vita tra la metà e i tre quarti degli ebrei locali – molti sopravvissuti si convertirono al cristianesimo.
Il fenomeno degli ebrei costretti a convertirsi, che in segreto mantenevano però il loro ebraismo, è noto nel corso della storia ebraica. Tuttavia in Etiopia è molto difficile ricostruire le radici familiari, non esistono registri dettagliati, fino a poco tempo fa non erano in uso i cognomi. Alcuni esperti contano circa 8000 Falashmura, ma le stime sono incerte.
"Quando mi chiedono quanti Falashmura ci sono in Etiopia, rispondo che potenzialmente qualsiasi etiope potrebbe rivendicare di appartenere a questo gruppo", dice a Repubblica Avi Granot, già ambasciatore d'Israele in Etiopia. "La rivendicazione delle radici ebraiche è molto complicata da provare in questo caso. Lo Stato d'Israele ha agito anche in base a considerazioni umanitarie, per favorire il ricongiungimento familiare. Abbiamo già rimpatriato migliaia di Falashmura in passato, e ogni volta ci promettono che è l'ultimo gruppo".
Granot racconta di una visita ufficiale che ha condotto in uno dei campi di transito in cui vivono i Falashmura: li ha visti pregare in sinagoga con kippà e tallit, lo scialle della preghiera. Poi è tornato un'altra volta, senza preavviso, e in sinagoga non c'era nessuno, né c'era traccia di vita ebraica.
A oggi vivono in Israele circa 100,000 ebrei di origine etiope. Molti di loro sono integrati nel tessuto sociale israeliano, si arruolano nell'esercito, studiano nelle università. Ma non è tutto un idillio: solo pochi anni fa è scoppiata un'ondata di manifestazioni di una parte della comunità etiope israeliana in protesta per la violenza della polizia contro la comunità. E’ una strada ancora in salita.
(Traduzione di Sharon Nizza)
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