L’amore è una zappa, la donna un campo coltivato. Basterebbero queste due immagini per farci amare gli egizi, o meglio, la loro scrittura, che di questa civiltà antica racconta moltissimo, a saperla leggere appena un po’. È l’idea che sta alla base del libro dell’egittologa bolognese Barbara Faenza "Il segno immortale-Decifrare la scrittura per capire la civiltà" (Ponte alle Grazie) che ci porta alla scoperta dell’idioma dei faraoni. A partire da un concetto che la stele di Rosetta, il primo documento bilingue che consentì di decifrare i geroglifici, trovato durante la campagna napoleonica, svelò subito ma che si comprende meglio oggi.
«Si trattava, unica nell’antichità, spiega l’egittologa – di una lingua mista, composta cioè da lettere dell’alfabeto, segni bilitteri e trilitteri, ideogrammi e segni determinativi». Se vi sembra complicato, prendete in mano il vostro smartphone e leggete gli ultimi messaggi inviati. Con tutta probabilità vi troverete frasi, simboli sostitutivi di una parola che lo stesso smartphone vi avrà suggerito ed emoticon, per comunicare il vostro umore rispetto al concetto espresso.
Una lingua mista, appunto. «Così anche per gli egizi – conferma Faenza – ci sono parole come gatto, sole, piramide, bambino e anziano rappresentati in quanto tali, e ci sono i segni determinativi che indicano gli stati d’animo » . Come un omino con le braccia alzate, per indicare che la parola appena conclusa aveva a che fare con la felicità. Al contrario, se si voleva dare conto di un fatto triste, o di una sciagura, si usava l’immagine del passero, perché devastava i raccolti. « Tutti simboli, che proprio come oggi, non si leggevano, ma offrivano informazioni aggiuntive legate agli umori».
Ci sono poi ideogrammi poetici, come la già citata zappa per indicare il sentimento amoroso, ma pure l’avvoltoio per rappresentare la madre perché si tratta di uccelli dalla grande apertura alare che offrono protezione ai piccoli nel nido. Meno sottile la raffigurazione della morte: un uomo sdraiato con del sangue alla testa. «C’è un geroglifico magnifico che raffigura il concetto di " non sapere".
È un segno di braccia che sporgono fuori del corpo, coi palmi delle mani rivolti verso l’alto, mentre la curva centrale evoca il gesto di alzare le spalle. Un segno antico come il mondo, che ancora oggi si usa, nella mimica come negli emoticon». Beninteso, gli Egizi avrebbero potuto scrivere utilizzando solo i 24 segni del loro alfabeto, ma non lo fecero mai. «Fu una scelta culturale» . Agli ideogrammi era anche attribuito un potere propiziatorio.
«Erano considerati talmente intrisi di magia – conclude Faenza – che per il timore che quelli che rappresentavano figure umane, animali o insetti potessero correre, strisciare o volare via dall’iscrizione, venivano amputati di una gamba, della testa, oppure veniva rappresentata solo la parte superiore o inferiore del corpo. Un modo per scongiurare che se ne andassero in giro a scorrazzare liberi, invece che essere ancora qui oggi a svelarci chi erano i costruttori di piramidi».
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