I bambini di Chernobyl non potranno trascorrere neanche le vacanze di Natale presso le loro famiglie "accoglienti", dopo aver dovuto rinunciare al soggiorno estivo. Una situazione di disperazione, per i ragazzi provenienti dalla Bielorussia, orfani o comunque alle prese con situazioni di disagio, costretti a pagare più del dovuto l'emergenza sanitaria mondiale legata al Covid-19.
Il blocco dei progetti di sostegno e accoglienza per il risanamento fisico e psicologico dei giovani che ancora respirano le scorie nucleari della tragedia di Chernobyl, è stato disposto a fine marzo scorso ed è ancora vigente, nonostante da ottobre esista un protocollo ad hoc, stilato dal ministero della Salute, con il coinvolgimento del Comitato tecnico scientifico.
Si continuerebbero quindi a violare i diritti dell'infanzia, secondo le centinaia di famiglie che hanno deciso di alzare la voce, non intenzionate ad abbandonare bambini che ormai fanno parte della propria sfera affettiva. Sono circa 1500 i giovani che ogni anno vengono ospitati in Italia, uno dei Paesi in questo senso più solidali.
Le difficoltà sono diventate insormontabili la scorsa estate in quanto la Bielorussia non fa parte del trattato di Schengen, e non è rientrata nella lista di Paesi per cui il Comitato tecnico, costituito dai rappresentanti dei tre Ministeri coinvolti (Lavoro e Politiche sociali, Affari esteri e cooperazione internazionale, Salute) ha deciso di fare un'eccezione per permettere gli ingressi nell'Unione Europea.
"Nello stesso momento in cui si sono rese più favorevoli le regole di accoglienza e integrazione, gli stessi diritti sono stati negati ai minori bielorussi – si legge nel comunicato diffuso dalle famiglie accoglienti – per quanto questi arrivino nel nostro Paese con progetti specifici limitati nel tempo e che tali progetti siano economicamente a totale carico delle famiglie che li ospitano".
Una discriminazione che la scorsa estate si sarebbe manifestata con ancora più forza quando analoghe accoglienze hanno avuto l'opportunità di continuare, come nel caso della Lituania, per il solo fatto di essere interne alla Ue.
Una mancata attuazione dei diritti del fanciullo, che si scontra con la burocrazia internazionale, non facilitata nei rapporti tra le Istituzioni visto la grave emergenza vissuta dal mondo per il coronavirus. Una situazione di stallo in mezzo alla quale restano impigliati migliaia di bambini, costretti a rinunciare anche al tanto atteso soggiorno natalizio, senza poter riabbracciare quelle che sono ormai le loro famiglie, in cui trovano affetto, calore, e la possibilità di rigenerarsi dal punto di vista fisico, oltre che emotivo.
L'ultima speranza è legata al Garante per i diritti dell'infanzia, chiamato ad occuparsi di una vicenda figlia della pandemia e connessa in maniera inevitabile ai rischi sanitari che si rischiano di correre. Tralasciando però con troppa superficialità il dolore che tale immobilismo sta creando in ragazzi già costretti a vivere in situazioni di forte disagio.Original Article
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