AGI – Quattro pacchi di grissini italiani per una bottiglia di salsa di soia. Un ritorno al baratto – utilizzato nella prima fase dell'Alto Medioevo a causa di economie chiuse ad assetto agrario-feudale – che sa di beffa per Shanghai, considerata la capitale economica della Cina, costretta a un durissimo lockdown a causa di una recrudescenza della pandemia da Covid-19 e, in particolare, della variante Omicron che ha portato numeri di contagi mai visti nel gigante asiatico.
A raccontare all'AGI l'episodio del baratto e molto altro è Roberto Bernasconi, 56 anni, chef e fondatore del "Porto Matto", da 18 anni in Cina e sposato con una 54enne cinese. "Firmerei per uscirne dopo le feste del primo maggio – racconta – Il 'sistema' messo in piedi dal governo è abbastanza articolato e durissimo. Lo schema per le uscite si basa sul numero 7: dopo una settimana di tamponi tutti negativi si può uscire di casa passeggiando solo nel cortile; dopo ulteriori 7 giorni, se i tamponi risultano ancora tutti negativi, allora si può uscire nel quartiere. Passata una ulteriore settimana, se si è ancora tutti negativi, si può uscire di più". Ma, basta un solo positivo, per "tornare al primo livello".
Non si può nemmeno portare a spasso il cane che è costretto "a fare i bisogni a casa o nelle scale di emergenza che poi puliamo noi stessi", racconta. Una situazione difficile iniziata a fine marzo nella zona di Pudong, la Shanghai 'nuova', dove c'è anche l'aeroporto internazionale. "Il lockdown inizialmente doveva durare 5 giorni. Il progetto era fare i tamponi a tutti e poi riaprire", spiega Roberto. Le cose sono invece andate in maniera diversa perché la variante Omicron ha dilagato costringendo il governo a chiudere anche l'altra parte della città.
"È stata chiusa anche Puxi che in principio doveva rimanere sigillata dal 1 al 5 aprile, ma in realtà come Pudong è chiusa ancora oggi", dice. "Tutti eravamo preparati per 5 giorni di lockdown, siamo rimasti spiazzati: Io ho il ristorante e avrei potuto portare roba per mangiare per 1 mese e mezzo o 2 mesi. Non l'ho fatto e ho sbagliato – confida Roberto – ma abbiamo sempre fatto chiusure molto brevi, pensavo ingenuamente sarebbe andata così anche questa volta".
E ora molti cinesi, costretti ormai da quasi un mese in casa, soffrono la fame e le provviste che non sempre arrivano. "Dove sto io le cose vanno benino: il secondo giorno di lockdown ogni appartamento ha ricevuto un bustone con verdure miste e quattro o cinque chili di maiale. A oggi abbiamo ricevuto due pacchi, nel secondo c'erano riso e pomodori", spiega.
Una chiusura dura, per certi versi peggiore di Wuhan nel 2020 e che, soprattutto, i cittadini di Shanghai non avevano mai vissuto prima. "Nel 2020 non era obbligatorio stare a casa, potevi uscire ma era tutto chiuso tranne i 24 ore. Oggi no, non puoi fare nulla", racconta Roberto, interrotto da sua figlia di 17 anni che insieme a lui, alla mamma e alla nonna di 83 anni, vive in un compound dove ci sono 6 palazzi da 33 piani. Un totale di 180 appartamenti a palazzo con la palestra all'aperto un campo di pallavolo e uno da tennis. Alla Cina, colpita dalla variante Omicron, viene spesso contestata una campagna di vaccinazione non proprio perfetta. Su questo Roberto ha le idee chiare: "Io sono vaccinato 3 volte con il farmaco Sinopharm e tutta la mia famiglia si è vaccinata. Vero è che molte persone, soprattutto anziane, non lo hanno fatto. Tanti anziani da soli non sapevano nemmeno dove andare. Bisogna tenere presente che dai 65 anni in su dovevano avere persone che li accompagnassero ai centri di vaccinazione".
Ma la domanda che tutti si fanno è: in un mondo che riapre con i vaccini e con una variante che, studi alla mano, sembrerebbe meno letale, perché la Cina chiude tutto? "Anche noi ce lo chiediamo", risponde ridendo Roberto. Poi si fa serio. "Il governo ha scelto la politica dello 'Zero Covid' e la popolazione è in realtà, nella maggior parte dei casi, d'accordo". Ma come si può essere d'accordo se il rischio è un'economia a rotoli? "Io come dicono a Roma 'ho più culo che anima' – risponde Roberto – Il palazzo dove ho il mio ristorante è di proprietà del governo e solo pochi giorni fa il telegiornale ha dato la notizia che causa lockdown per tre mesi i proprietari delle attività saranno esentati dal pagamento dell'affitto".
Questo però vale solamente per gli 'inquilini del governo', gli altri saranno costretti a pagare gli affitti e rischiano di non farcela. "Onestamente ho paura che, vista la scelta dei tre mesi senza il pagamento dell'affitto, pensino a una chiusura più lunga", confida Grande aiuto agli italiani è arrivato dal Consolato, ricorda, che in una situazione difficilissima ha tentato di fare il possibile anche per evitare l'addio di molte attività italiane. "Sono in tantissimi a voler lasciare", spiega con un pizzico di amarezza prima di chiudere la telefonata.
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