"So quello che devo dire ma dalla mia bocca escono solo suoni confusi e incomprensibili". Una sensazione tremenda. Dopo un ictus l'afasia, che può comportare anche questo tipo di problema, compare in circa tre pazienti su dieci. Ma può essere contrastata, non solo con percorsi riabilitativi su misura, ma anche attraverso la musica. Magari proprio cantando in coro. Senza paura di sbagliare o di non essere capiti. Perché quando cantiamo le parole fluiscono meglio.
Il Coro degli Afasici, presente in sei città
È un'esperienza davvero contagiosa, in senso positivo, quella del "Coro degli Afasici", sostenuta da A.L.I.Ce. Italia Odv (Associazione per la Lotta all'Ictus Cerebrale). Oggi le corali sono attive a Cuneo, Trieste, Genova, Ravenna, Firenze, L'Aquila. In una di queste canta anche Ruggero, che dal 2017 fa parte del Coro degli Afasici di Genova.
"La musica è sempre stata un elemento molto importante per lui e, oggi, rappresenta un grande mezzo di comunicazione: a volte per spiegarsi canta una canzone inerente all'argomento – racconta la moglie. Partecipare al coro ci fa sentire parte di un gruppo, quindi meno soli, ci confrontiamo ognuno con le proprie difficoltà, non ci chiudiamo in noi stessi".
Avere le parole ma non riuscire a dirle
Ruggero ha nel cervello tutte le parole, solo che la lesione non gliele lascia uscire correttamente. "Nel tempo è migliorato molto, riuscendo a comporre parole, più scritte che parlate, tanto che vorrebbe scrivere un libro: rimane però difficile la costruzione delle frasi – riprende. A livello neuropsicologico e logopedico è stato ed ancora continua a essere un gran lavoro, grazie anche al rapporto che si è creato con la nostra logopedista e con la neuropsicologa. La cosa più importante, per lui, è riuscire a farsi capire, cosa che gli riesce abbastanza bene con vari mezzi comunicativi, le espressioni, gli esempi, le canzoni, i disegni. Non nego che molte volte io sono la sua interprete, ma con le persone che lo frequentano un po' riesce ad interagire anche da solo abbastanza bene".
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La storia di Ruggero
La vicenda di Ruggero inizia nel 2010 in una bella giornata di sole, sulle Alpi, vicino a Cuneo. Ha 58 anni. Con la moglie condivide la passione per la montagna. Solo l'anno prima è arrivato a quota 7.200. E si allena per salire su una cima della catena dell'Himalaya. Non fuma, controlla la sua salute, va al lavoro a piedi, corre ogni giorno.
Sale con due amici. Per la discesa rimane solo per scendere in corda doppia. Ma al punto di ritrovo non si vede. Due alpinisti che salgono lo individuano. L'elicottero lo preleva e lo porta all'ospedale di Cuneo: la diagnosi è di ictus emorragico. Viene operato. I medici parlano di possibili conseguenze. Inizia il percorso di riabilitazione.
"Oggi, dopo tanti anni, mio marito non è totalmente autonomo ma per fortuna ha mantenuto la comprensione e la tenacia dell'alpinista che manifesta ancora ogni giorno, con la sua costante volontà di recuperare il più possibile – fa sapere la moglie. È Incredibile come l'essere umano, nella necessità, riesca a sfruttare al massimo ogni più piccolo appiglio, pure con la consapevolezza della propria fragilità. Molto conta anche il carattere, che per fortuna ha saputo trasformarsi da rigido in accomodante, senza spezzarsi come temevo io. L'istinto di sopravvivenza ha prevalso, mio marito continua a pensare come aiutare quelli meno fortunati di lui". Anche grazie alla musica e al canto.
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La musicoterapia abbinata alla riabilitazione
Per chi ha già realizzato un percorso riabilitativo, la musicoterapia diventa uno strumento per affrontare e migliorare i disagi emotivi collegati alla propria esperienza di isolamento e depressione, conseguenze molto frequenti dell'ictus e dell'afasia. Il percorso non è semplice. Dopo la fase acuta del ricovero ospedaliero, inizia il periodo più difficile: quello della riabilitazione che può essere fisioterapica e logopedica o solo logopedica presso un ambulatorio di zona.
È qui che si trova a fare i conti con gli esiti dell'ictus: non è più un paziente ma una persona, colpita da quell'episodio traumatico che l'ha lasciato senza parole, e deve reinserirsi nel suo tessuto familiare e sociale adattandosi a questa nuova e spesso dolorosa situazione. "È in questa fase che si evidenziano maggiormente le conseguenze della sua perdita e questo può incidere gravemente sul benessere psico-sociale – fa sapere Nicoletta Reale, Past President di A.L.I.Ce. Italia Odv. È qui che la figura del logopedista assume un ruolo fondamentale: l'afasia non garantisce più il collegamento tra le parole ed i significati e quindi viene meno la possibilità di esprimere i propri pensieri e desideri. Tra tutte le disabilità legate all'ictus l'afasia può essere considerata la più crudele perché lascia la persona senza parole, isola l'individuo, rendendolo soggetto a depressione, rabbia, frustrazione".
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Che cos'è l'afasia
L'afasia è un disturbo del linguaggio causato da lesioni in particolari aree della corteccia cerebrale dell'emisfero dominante (prevalentemente il sinistro), sede della funzione del linguaggio. Alcune persone afasiche hanno difficoltà quando devono esprimersi verbalmente mentre può rimanere intatta la capacità di comprendere il linguaggio; altre, invece, riscontrano difficoltà quando si tratta di comprendere quello che gli viene detto. La gravità, ovviamente, è estremamente variabile e dipende dalla sede e dalla dimensione del danno cerebrale.
Per chi affronta l'afasia può essere difficile riuscire a seguire discorsi veloci, trovare le parole adatte da dire o comprendere frasi molto lunghe e complesse. Chi si trova a vivere con una persona afasica deve, innanzitutto, capire che convivere con un disturbo così grave può determinare cambiamenti di umore anche importanti e repentini e, quindi, sarebbe opportuno avere un atteggiamento rassicurante e positivo.
La difficoltà di linguaggio non va interpretata come "rifiuto di parlare": la persona afasica comunica come e quando può, riuscendo un attimo prima a dire una parola, ma subito dopo potrebbe manifestare difficoltà nel comunicare efficacemente il proprio pensiero. Fondamentale, è l'approccio riabilitativo che, oggi, è centrato non solo sul paziente ma anche sulla comunità circostante, prima di tutto la famiglia, che deve avvicinarsi a queste nuove modalità di comunicazione.
Quanto dura il percorso di riabilitazione
La durata del trattamento è variabile, sicuramente il lavoro più intenso, che porta i risultati maggiori, è quello che viene svolto nell'arco dei primi 12 mesi. Dopo questo primo periodo, il lavoro si concentra principalmente su quella che può essere definita "riabilitazione sociale", meno legata all'ospedale, con un percorso di adattamento costante. Oltre a logopedia, fisioterapia e terapia occupazionale quindi c'è un altro strumento riabilitativo. Si chiama musicoterapia. Contribuisce ad attivare canali diversi da quelli verbali generalmente utilizzati. Cantare assieme agli altri diventa così uno strumento di cura. Per il cervello e per la psiche.
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