La polizia di Hong Kong ha reso noto oggi su Facebook che sono state arrestate 10.171 persone, tra il 9 giugno 2019 e il 30 novembre 2020, per le proteste pro democrazia e contro la legge sulle estradizioni in Cina: 2.389 le persone incriminate formalmente, di cui 695 per sommossa, 414 per manifestazioni illegali e 356 per danni. Fra gli accusati il magnate dei media Jimmy Lai, formalmente incriminato oggi per violazione della legge sulla sicurezza nazionale. Lai – fondatore di Next Digital, che pubblica il tabloid Apple Daily – è l'attivista pro democrazia di maggior peso a finire nelle maglie della normativa imposta dalla Cina sull'ex colonia britannica.
Joshua Wong e Agnes Chow, due icone del movimento democratico di Hong Kong, stanno per andare in prigione. Mercoledì scorso, Joshua è stato condannato a 13 mesi e mezzo, Agnes a 10 mesi e un terzo imputato, Ivan Lam, a 7 mesi per aver incitato, organizzato o partecipato a un raduno illegale nella sede centrale della polizia di Hong Kong nel giugno del 2019. (I tre imputati si erano dichiarati colpevoli.) Ma potrebbero dover rimanere in carcere più a lungo: il governo cinese, usando come tramite le autorità di Hong Kong, ha già avanzato nuovi capi di imputazione contro di loro. E il suo obbiettivo, d'altronde, è schiacciare il dissenso nell'ex colonia inglese.
Queste imputazioni sono state avanzate sulla base dell'ordinanza di potere pubblico, ma dal 30 giugno è in vigore anche la legge sulla sicurezza nazionale, molto più severa. Dodici persone che sono state fermate in mare mentre cercavano di lasciare Hong Kong, ad agosto, sono detenute in Cina e secondo le informazioni in nostro possesso non hanno la possibilità di parlare con i loro avvocati.
Gli attivisti come noi (gli autori, che sono in esilio e ricercati o nella diaspora, e i nostri compagni a Hong Kong, che rischiano di essere arrestati o processati) continueranno instancabilmente a battersi contro l'espansione autoritaria della Cina e a cercare di salvaguardare quel che resta delle istituzioni liberali della città, fintanto che potremo. Ma abbiamo bisogno del sostegno di governi, imprese, università, organizzazioni per i diritti dei lavoratori e organizzazioni non governative in ogni parte del mondo.
Se il mondo non agirà con decisione per costruire un'alleanza più forte contro l'aggressione crescente del Partito comunista cinese, altri attivisti verranno sacrificati e anche valori democratici più essenziali. Hong Kong è in prima linea nella resistenza contro l'autoritarismo di Pechino: quello che succede laggiù è importante per chiunque, in ogni parte del mondo, abbia a cuore il futuro della libertà, soprattutto considerando che Pechino sta cercando di esportare i suoi metodi repressivi ipertecnologici in altre aree del pianeta.
L'amministrazione Biden, che si insedierà fra breve, non deve limitarsi a continuare a mantenere un atteggiamento critico verso il regime del Partito comunista cinese (Pcc), ma deve avere anche il coraggio di promuovere una nuova politica sulla Cina, che dia la priorità ai diritti umani su tutti gli altri interessi. Solo così gli Stati Uniti potranno ricostituire il loro ruolo guida in un ordine mondiale consacrato alla libertà, la democrazia, l'uguaglianza e il multilateralismo.
Nel giugno 2019, quando ancora non era il candidato del Partito democratico alle presidenziali, Joe Biden twittava: "Il coraggio straordinario mostrato da centinaia di migliaia di persone che sfilano a Hong Kong per le libertà civili e l'autonomia promesse dalla Cina è di ispirazione per tutti noi. E il mondo sta guardando. Dobbiamo schierarci tutti a sostegno dei principi democratici e della libertà". Ora che Biden è il presidente eletto degli Stati Uniti, ci appelliamo a lui perché dia seguito a quel sentimento che aveva espresso con atti concreti.
Il governo del Pcc sta imponendo sempre di più a Hong Kong il suo sistema autoritario, stracciando in questo modo l'impegno assunto con la Gran Bretagna nel 1984, con la firma della Dichiarazione congiunta sino-britannica, e sabotando il principio "un Paese, due sistemi": due impegni presi da Pechino che avrebbero dovuto assicurare alla città una forte autonomia fino al 2047.
Questa estate, il Partito comunista cinese ha imposto alla città una legge sulla sicurezza nazionale ad ampio raggio ed estremamente punitiva. Da allora, quella legge è stata usata per arrestare manifestanti, espellere dal Consiglio legislativo esponenti democratici anche moderati e punire insegnanti ritenuti non sufficientemente patriottici nei confronti della Cina.
I prossimi a essere colpiti potrebbero essere i giudici, i consiglieri distrettuali, i funzionari pubblici e perfino gli alunni delle scuole. Carrie Lam, il capo esecutivo di Hong Kong, la scorsa settimana ha tenuto il suo discorso annuale sulla politica del governo (l'equivalente del discorso sullo stato dell'Unione del presidente degli Stati Uniti) e ha detto, fra le altre cose, che bisogna incoraggiare "valori positivi" fra gli studenti, incluso "un senso di identità, appartenenza e responsabilità verso la nazione, la razza cinese e la nostra società".
Grazie ad anni di pratiche commerciali inique, il Pcc è riuscito a concentrare ricchezza e potere. Più recentemente, il governo cinese è riuscito a consolidare il suo controllo sfruttando la pandemia di covid-19: ha esteso la sorveglianza digitale dei cittadini in nome della lotta al virus e, mentre altri Paesi sono distratti, alle prese con la crisi sanitaria, ha represso il movimento democratico a Hong Kong e ha rafforzato la sua presenza nel Mar Cinese Meridionale. Questo nonostante il virus, secondo tutti i resoconti seri, sia comparso per la prima volta in Cina, e nonostante un numero crescente di rapporti e inchieste, fra cui una recente analisi della Cnn su documenti filtrati dalla provincia dell'Hubei, dimostri che le autorità cinesi avevano messo a tacere le notizie sul focolaio iniziale.
Negli ultimi anni, l'amministrazione Trump ha preso diverse misure per condannare la repressione a Hong Kong: ha revocato all'ex colonia inglese lo status commerciale speciale di cui godeva, ha imposto sanzioni a funzionari del Pcc e del governo di Hong Kong per la repressione contro i manifestanti. (La signora Lam recentemente ha detto che sta ricevendo il suo stipendio in contanti e che ha "montagne" di soldi a casa, perché nessuna banca è più disposta a farle aprire un conto.)
Anche altri leader mondiali, numerose organizzazioni per i diritti dei lavoratori e imprese hanno cominciato a riconsiderare il loro rapporto con la Cina. Molti iniziano a domandarsi se l'attrattiva di guadagni finanziari immediati sia sufficiente a compensare la prospettiva di perdite di altro genere nel lungo periodo.
Imporre dazi sulle importazioni cinesi, mettere al bando le aziende sostenute dal Pcc, indagare sui finanziamenti del Pcc a università americane e le attività del cosiddetto fronte unito del partito, la sua rete mondiale di influenza, sono tutte mosse che assolvono a uno scopo prezioso: segnalare alla leadership cinese che sta violando le regole globali e che questa cosa non sarà tollerata. Finora, tuttavia, queste iniziative non sono servite a indurre il Pcc ad attuare riforme sostanziali.
La nostra speranza è che l'amministrazione Biden riveda e riformi le politiche di asilo per i cittadini di Hong Kong e prenda attentamente in esame l'idea di imporre sanzioni contro coloro che attaccano le istituzioni democratiche della città. La nuova amministrazione dovrà prendere anche decisioni di vitale importanza sulla protezione delle minoranze nello Xinjiang e nel Tibet e il rafforzamento dei legami diplomatici con Taiwan.
Washington deve elaborare, nei confronti della Cina, una politica che metta i diritti umani al primo posto, ma senza trascurare anche la necessità urgente di una maggiore tutela dell'ambiente e dei diritti dei lavoratori, e di pratiche commerciali eque. In questo modo, continuerebbe a inviare un segnale di forte sostegno non solo ai militanti per i diritti umani e ai sostenitori della democrazia a Hong Kong, ma a tutte le persone che vogliono essere libere.
Nathan Law Kwun Chung (@nathanlawkc) e Alex Chow (@alexchow18) sono attivisti pro-democrazia di Hong Kong
(Traduzione di Fabio Galimberti)
Commenti recenti