Finito lo stato di emergenza, la fase post-Covid ha riportato a galla le vecchie criticità del Sistema sanitario nazionale (Ssn), in più aggravate da due anni di pandemia. Per capirlo, è sufficiente guardare i numeri dei ritardi accumulati (backlog) nelle liste di attesa degli ospedali: solo nel 2020 oltre un milione e 300mila interventi saltati, di cui più di 500mila urgenti. Uno tsunami certificato dal Rapporto 2021 sul Coordinamento della finanza pubblica della Corte dei conti, che spinge a una seria riflessione su come ridisegnare la sanità del futuro e sui nuovi possibili spazi di intervento dell'assistenza sanitaria integrativa.
Nonostante gli aumenti previsti per la spesa sanitaria pubblica, passati dai 115,7 miliardi del 2019 ai 126 e poco più del 2023-24, e gli stanziamenti aggiuntivi di 15,6 miliardi di euro del Pnrr, solo l'invecchiamento della popolazione porta con sé un aumento della spesa che difficilmente potrà essere assorbito dal Ssn. "Le cifre del Piano, sebbene non siano sufficienti, prevedono 15 miliardi di euro per sviluppare un nuovo assetto della sanità pubblica in un'ottica territoriale, con un'accelerazione su telemedicina e digitale, ma non risolvono il problema dell'integrazione pubblico-privato che giustamente c'è stata durante la crisi pandemica", osserva Giovanna Gigliotti, ad di UniSalute, prima assicurazione sanitaria in Italia per numero di clienti con 11 milioni di assistiti e uno dei più importanti operatori nella gestione dei Fondi sanitari nazionali e di categoria .
I numeri di UniSalute dicono che, per fronteggiare la pandemia, la spesa sanitaria pubblica nel nostro Paese ha subito un significativo incremento (più 5,3%) a partire dal 2020, passando da 115,7 miliardi di euro del 2019 a 123,5 miliardi di euro nell'anno del Covid con un'incidenza sul Pil pari a 7,5%. La spesa privata invece ha subito un forte decremento, passando da 40,5 miliardi di euro del 2019 a 30,8 miliardi di euro nel 2020. "Il dato non sorprende per due motivi. Il primo è legato alla questione delle chiusure imposte durante il primo lockdown, le successive restrizioni all'accesso ai servizi e alla cautela da parte degli utenti nell'evitare possibili luoghi di assembramento e potenziale contagio durante la pandemia. Il secondo riguarda il fatto che i posti letto delle strutture private sono stati utilizzati dal Ssn per affrontare l'onda prolungata di ricoveri Covid con la conseguente sospensione dei ricoveri effettuati al di fuori del Ssn per interventi procrastinabili", dice Gigliotti.
La speranza che la situazione migliorasse nel 2021 si è scontrata presto con la realtà, cioè l'aumento esponenziale dei contagi causa quarta ondata: "I contagi sono stati meno gravi grazie ai vaccini; tuttavia, gli italiani hanno dimostrato ancora qualche timore e sono ricorsi alle prestazioni sanitarie solo nei casi di emergenza, ad esempio per interventi chirurgici – spiega Gigliotti – Allo stesso tempo, a causa della sospensione delle prestazioni sanitarie di routine durante il lockdown il Ssn ha accumulato un backlog notevole su molte prestazioni che fatica ancora a recuperare, a differenza delle strutture private che hanno avuto un incremento dei servizi sanitari erogati (esami, prestazioni specialistiche, prevenzione, interventi chirurgici, ndr)".
Perché non si parla del backlog nella sanità pubblica? "A mio avviso nasce dal fatto che per fare una programmazione di questo tipo il governo dovrebbe stanziare risorse dedicate ma in questo momento fatica perché i costi hanno subito un significativo incremento per fronteggiare la pandemia", risponde l'ad. Che cosa suggerisce? "Siamo in una fase in cui dobbiamo programmare il futuro con tutte le forze in campo, ripensando a un sistema di integrazione pubblico-privato che garantisca la sostenibilità delle cure, in cui il pubblico mantenga la sua centralità ma vengano ampliati gli interventi della sanità integrativa e quindi privata: ad oggi contiamo circa 14 milioni di over 65 e circa 24 milioni di pazienti con patologie croniche che necessitano di un'assistenza strutturata anche al domicilio", rileva Gigliotti.
L'altro nervo scoperto riguarda la spesa sanitaria "out of pocket" che, a differenza di altri Paesi europei, in Italia è ancora oggi finanziata per l'89% dalle famiglie e solo l'11% del totale è intermediata da assicurazioni sanitarie, Casse e Fondi sanitari. "Lo sforzo delle compagnie assicurative deve essere quello di offrire coperture sanitarie semplici e accessibili in termini di costi. Noi di UniSalute abbiamo lanciato di recente 6 polizze acquistabili on line sul nostro sito, con cui rispondiamo a diverse esigenze e differenti target: famiglie, sportivi, over 65, studenti, inoltre offriamo un prodotto specifico per le prestazioni odontoiatriche, che sono tra quelle più richieste", dice l'ad.
Chi sta portando avanti un lavoro capillare è il mondo della logistica. "Sul piano dell'assistenza sanitaria, il fondo mutualistico Sanilog eroga prestazioni senza analisi del rischio ma ci sono ancora tanti lavoratori che non lo conoscono sebbene sia obbligatorio iscriversi", avverte Fabio Marrocco, codirettore di Confetra. Un problema, questo, su cui punta l'indice anche il sindacato: "Con il nuovo Ccnl della logistica, il contributo versato a Sanilog dalle imprese è salito a 2,50 euro al mese per aumentare la copertura delle prestazioni. Purtroppo, non abbiamo un meccanismo coercitivo per obbligare tutte le aziende a sottoscrivere prima il contratto e poi il fondo. Però, siamo riusciti a portare dentro il fondo sia i lavoratori diretti di Amazon sia quelli delle società in appalto nella filiera dell'ultimo miglio", conclude Michele De Rose, segretario nazionale Filt Cgil.
I fondi sanitari integrativi piacciono più al Nord
Sono 322 i Fondi sanitari integrativi (Fsi) in Italia per una platea di 13,7 milioni di iscritti, secondo l'ultimo dato aggiornato dall'Anagrafe dei Fondi Sanitari. Dal punto di vista della distribuzione geografica, si osserva una concentrazione piuttosto elevata in Lombardia, con oltre il 30% del totale dei beneficiari di Fsi. Una concentrazione molto più bassa si riscontra in alcune Regioni del Sud, come Calabria, Sardegna e Abruzzo, ma anche in alcune Regioni del Centro (come l'Umbria) e in due Regioni del Nord (Valle d'Aosta e Trentino-Alto Adige). Gran parte dei beneficiari dei fondi si concentra dunque nelle Regioni del Centro Nord, dove più forte è la presenza del Ssn e dove si concentrano il maggior numero di imprese, di lavoratori e dove il reddito è mediamente più alto.
I dati di UniSalute consentono di evidenziare come il 35% delle prestazioni erogate sia diretto alla tipologia di spesa specialistica, il 33% ai ricoveri, il 23% all'odontoiatria, il 7% alla prevenzione e maternità e il restante 2% ad altre coperture.
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