Confermata in Cassazione l’assoluzione dell’ex ministro Calogero Mannino accusato di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato nel processo stralcio sulla trattativa Stato-Mafia. L’ex politico demoscristiano, difeso dall’avvocato Grazia Volo, era già stato assolto in primo grado e in Appello. I giudici della sesta sezione della suprema Corte hanno dichiarato inammissibile il ricorso della procura generale di Palermo, confermando la sentenza di assoluzione del processo di Appello, emessa il 22 luglio dello scorso anno.
Nelle motivazioni della sentenza di assoluzione i giudici di secondo grado, presieduti da Adriana Piras, scrivevano che "non è stato affatto dimostrato che Mannino" fosse "finito anch'egli nel mirino della mafia a causa di sue presunte ed indimostrate promesse non mantenute (addirittura, quella del buon esito del primo Maxiprocesso) ma, anzi, al contrario, è piuttosto emerso dalla sua sentenza assolutoria che costui fosse una vittima designata della mafia, proprio a causa della sua specifica azione di contrasto a Cosa nostra quale esponente del governo del 1991, in cui era rientrato dal mese di febbraio di quello stesso anno". I giudici di secondo grado sottolineavano inoltre come "la tesi della procura" fosse "non solo infondata, ma anche totalmente illogica ed incongruente con la ricostruzione complessiva dei fatti".
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Nella ricostruzione dell’accusa, Mannino era il primo anello della trattativa: temendo per la sua incolumità, grazie ai suoi rapporti con l’ex capo del Ros Antonio Subranni, nel ‘92, avrebbe fatto pressioni sui carabinieri perché avviassero un “dialogo” con i clan. In cambio si sarebbe adoperato per garantire un’attenuazione della normativa del carcere duro. L’ex ministro si è sempre difeso negando ogni coinvolgimento nelle vicende che gli sono state contestate. Mannino scelse di essere giudicato con rito abbreviato, mentre gli altri imputati nel processo “trattativa” optarono per il dibattimento. E il risultato fu diametralmente opposto con le pesanti condanne del processo di primo grado inflitte il 20 aprile 2018 dalla corte d’Assise presieduta da Alfredo Montalto: dodici anni per gli ex generali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni, dodici anni per l’ex senatore Marcello Dell’Utri, 8 anni per l’ex colonnello Giuseppe De Donno. E poi, ventotto anni per il boss Leoluca Bagarella. E assoluzione per l’ex ministro Nicola Mancino, “perché il fatto non sussiste”.
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Massimo Ciancimino, il supertestimone del processo, è stato condannato a 8 anni per calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro, è stato invece assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Tutti gli imputati condannati hanno fatto ricorso e il processo d’Appello è in corso. "Per me è stata una via crucis lunga trent'anni – ha commentato a caldo Mannino – ma per fortuna esistono magistrati liberi"Original Article
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