AGI – Le immagini di Bucha, la ferocia riservata a Mariupol e poi le razzie dei villaggi ucraini, il bottino di elettrodomestici e vestiti spedito alle famiglie in Russia. L'esercito di Mosca è "lo strumento di una società che si regge su una cultura della violenza" e a cui ideologicamente è stato dato il collante del "culto delle vittorie militari, della sconfitta sovietica del nazismo".
C'è una spiegazione culturale, strutturale, dietro alle azioni dei russi nella guerra in Ucraina, secondo lo scrittore e analista politico russo Serghei Medvedev, che in un'intervista all'AGI dalla Lituania mette anche in guardia l'Europa dal cedere alla "politica del placare l'aggressore", facendo concessioni al presidente Vladimir Putin: "Non si fermerà, dopo l'Ucraina non è escluso vada a cercare nei Paesi baltici altri presunti fascisti", il termine che ormai identifica tutti i nemici della Russia.
Autore – tra gli altri – del saggio 'The Return of the Russian Leviathan', in cui nel 2019 analizzava il deterioramento delle relazioni di Mosca con l'Occidente sotto Vladimir Putin e il percorso della Russia verso un aggressivo imperialismo e militarismo, Medvedev non è stupito dal dramma dei civili in Ucraina, nè dal silenzio dell'opinione pubblica russa: dietro c'è una "cultura della violenza", il nazionalismo e il persistente senso di superiorità sui propri vicini, insieme a una dolorosa nostalgia dell'impero e al sentimento di offesa scaturito dal crollo fine dell'Urss e dalla sconfitta nella Guerra Fredda, "che Putin ha saputo alimentare negli ultimi 20 anni".
"La Russia", sostiene lo scrittore e accademico, "assomiglia in questo alla Repubblica di Weimar, prova questo sentimento di offesa nei confronti del mondo esterno e su questo Putin ha creato una 'politica storica', che ha alla base la necessità di far tornare in qualche forma l'Unione Sovietica, con la spartizione delle aree d'influenza tra le grandi potenze e si è convinto che questo non sia possibile senza la distruzione dell'indipendenza, della statalità dell'Ucraina, suo principale progetto negli ultimi anni".
Già professore all'Alta scuola di economia di Mosca e oggi alla Free University, fondata da accademici fuoriusciti dalla Russia sulla scia della prima ondata di licenziamenti politici, Medvedev fa notare come "la società russa poggi sulla violenza e l'umiliazione della persona. La violenza non ha praticamente alcuna restrizione giuridica e culturale, è l'argomento finale di un Paese che si è rapidamente arcaizzato. È la norma in diversi settori: nelle famiglie, a scuola nei rapporti uomo-donna; la polizia, le carceri e l'Fsb si reggono sulla tortura, le prove nei tribunali sono costruite".
Lo scrittore non attribuisce la responsabilità di questo fenomeno solo a Putin: "È una cultura che risale a molto prima, è legata alla stessa struttura della società russa, alla relazione tra l'essere umano e il potere e a quella tra le persone. Era così in Unione sovietica, purtroppo è un problema strutturale".
Questa macchina della violenza ora è arrivata in Ucraina e nei suoi metodi di guerra "mostra tutta la profondità della decomposizione del potere, dell'esercito e della società russa: degrado morale, professionale, corruzione, furto, culto della forza e basso valore attribuito alla vita umana, il conformismo, l'indifferenza della società".
"Certo", ammette Medvedev, "quella vista a Bucha e a Mariupol è una vera e propria orgia di violenza; come spiegare il sadismo del nostro esercito, i saccheggi? La maggior parte dei soldati viene da realtà piuttosto povere, da regioni dove non ci sono strade asfaltate e bagni in casa. Arrivano in quelle che possono considerarsi delle cittadine borghesi e scoprono che gli ucraini conducono una vita benestante rispetto a loro e fanno razzia di quello che non hanno".
Sul tema molto discusso di una responsabilità collettiva rispetto a quanto sta accadendo, Medvedev non teme di nuovo il paragone con la Germania nazista.
"I russi stanno chiudendo gli occhi. Come vivevano gli abitanti di Dachau? Non sapevano che ai confini della città c'era un lager? Sì, ma guardavano da un'altra parte. I russi credono alla propaganda perché è psicologicamente più confortevole. Credono che siano gli ucraini stessi a inscenare i massacri, che sia l'esercito di Kiev a sparare sui civili per accusare i russi".
Lo scrittore sposa la linea del sostegno militare e finanziario dell'Occidente all'Ucraina e del massimo delle sanzioni possibili per fermare Putin sul campo: "Serve interrompere completamente le forniture del gas non posso credere che laddove sono in corso massacri di civili continua a transitare il gas, per cui gli europei pagano a Mosca centinaia di milioni di euro. Putin conta sulla 'politica del placare l'aggressore': diamo a Putin la Crimea si calmerà, diamogli il Donbass si calmerà. L'Europa si trova per la seconda volta in 80 anni nella stessa posizione di quanto pensava 'diamo a Hitler i Sudeti si calmerà, diamogli l'Austria si calmera''. Mi auguro non percorra la stessa strada di allora".
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