La cadenza di decenni ha già di per sé qualcosa di maestoso, il primo disco intitolato McCartney uscì nel 1970 ed era l’album del dissidio, dopo l’addio ai Beatles. McCartney II uscì nel 1980 e segnò l’uscita dalla fase in cui Paul si rappresentava all’interno di una band chiamata Wings. McCartney III, quasi fosse una dinastia a parte, un segno nobiliare, esce ora (sarà ovunque dal 18 dicembre) alla fine dell’anno 2020, il più strano e difficile della storia recente, e per qualche misteriosa ragione ricorda proprio quel primo innocente e delizioso album che pubblicò sulla scia del furore dell’ultima fase beatlesiana. Innanzitutto perché come allora, e come in McCartney II, il disco l’ha suonato interamente da solo: basso, batteria, chitarre, harmonium, piano, maracas, sintetizzatore, e ovviamente voci, di fatto un divertimento casalingo che ha utilizzato la prigionia del lockdown come un gioco di prestigio. Il mago scompare per qualche mese e riapparire con in mano un bouquet di conigli e foulard colorati.
Ma al di là della solennità del titolo, il disco è semplice e disadorno, non pretende essere altro che un disco fatto in casa, come fosse fatto per se stesso e per gli amici, ed è il massimo che si possa chiedere a un autore che ha cambiato la storia della musica popolare. In una intervista uscita sul New York Times in questi giorni, a David Marchese che gli chiede se nel nuovo disco ci sia qualcosa che rappresenti una crescita creativa, McCartney ha risposto: «L’idea di crescere e aggiungere frecce al proprio arco è bella, ma non sono certo di essere interessato a questo. La verità è che quando guardo indietro a Yesterday, che ho scritto più o meno a 21 anni, ci sono io che parlo come un uomo di 90 anni. Cose come Yesterday o Eleanor Rigby hanno una sorta di saggezza. Verrebbe da pensare, ok diventerò più vecchio e quindi sarò più profondo. Ma non sono tanto certo che sia così».
E infatti nel disco Paul sembra ampiamente al di là di ansie e competizioni, tanto meno quelle con se stessi che affliggono gli artisti per così dire maturi. Gioca con strumenti acustici, struccato, sincero, del tutto privo di retorica, onesto fino al punto di non usare trucchi per mascherare l’indebolimento della voce. In pezzi come The kiss of Venus, Pretty Boys e Lavatory Lil canta come può cantare un uomo di 78 anni, incerto, a tratti malfermo, ma sempre aggrappato a una classe sconfinata. Altre volte la voce sembra tornare alla grazia di un tempo, in Pretty Boys e Find my way, o ancora di più nella canzone finale Winter bird/When winter comes, che è una delizia d’altri tempi, appunto, ma a stupire è soprattutto l’aria di dimessa sincerità che attraversa tutto il disco.
Nel 2020 Sua maestà McCartney III vuole far di tutto per apparire più normale di tutti i suoi musicali sudditi.Original Article
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