Caro Merlo, la Normale di Pisa, senza nulla concedere alla grottesca caccia agli artisti e agli atleti che “non abiurano”, mostra all’Italia la strada giusta: sospenderà gli scambi con tutte le università russe perché i rettori hanno sottoscritto un infame documento con cui approvano l’invasione dell’Ucraina. Allo stesso tempo ha confermato l’invito agli accademici russi “sulla base di accordi individuali”.
Francesca Paolicchi — Pisa
Speriamo che la saggezza della Normale, che incoraggia gli accordi individuali e cancella quelli istituzionali, convinca tutti i rettori a non sporcare la libertà d’insegnamento legittimando questo nuovo stalinismo delle università russe sottomesse alla dittatura. Lo scellerato documento dei rettori le schiera infatti “al fianco dell’esercito e del presidente Putin… con il dovere di coltivare nei giovani il patriottismo e aiutare la Russia”. L’altra faccia dell’asservimento delle istituzioni è, come sempre, la repressione dei professori non allineati che vengono licenziati e imprigionati se solo partecipano a un libero dibattito. Nella nobiltà dell’Italia c’è il no dei 12 professori — 12 su mille — al giuramento di fedeltà al fascismo nel 1931. Oggi il rettore della Normale Luigi Ambrosio onora anche loro e la libertà di insegnamento, che è un bene costituzionale (articolo 33), sia confermando gli inviti ai professori “da valutare caso per caso” sia negandosi alla complicità con le università russe. Sembra di rileggere Vasilij Grossman o
il capolavoro di Izrail’Metter, Il Quinto angolo, che meglio racconta i muri della dittatura: quattro angoli e cinque muri, compreso il soffitto. Ma non esiste il quinto angolo, quello della libertà negata.
Caro Merlo, ho letto con commozione Fabio Tonacci sulla vita nel sottosuolo di Kiev: concerti, letture di classici, allegria e piani di battaglia. Ho ripensato al fratello della nonna, il mitico “zio Elio”, che si unì alla Resistenza frequentando una casa sull’Appenino dove si arrivava inerpicandosi per sentieri. Lì si rifugiavano i partigiani anche per fare baldoria. Deve essere così il sottosuolo di Kiev, com’erano le case di Castelnovo ne’Monti.
Elisa Montanari — Reggio Emilia
I luoghi della Resistenza sono quelli più inospitali e meno accessibili. Le montagne sono per natura adatte alla guerra. I picchi davano rifugio alle minoranze e anche i castelli parlano dell’altura come luogo ideale per resistere. Invece nelle città i luoghi più inospitali e inaccessibili stanno in basso, nel sottosuolo di chiese e metropolitane, nei bunker. Dino Buzzati, durante i lavori per il metro milanese, raccontò sul Corriere di una porta che il Comune aveva ordinato di murare di nascosto perché i pochi che l’avevano oltrepassata non erano più tornati indietro. Ma il sottosuolo non è più quello di Dostoevskij. A Parigi, a meno di venti metri dagli stivaloni dei nazisti, in place Denfert Rocherau, il colonnello Henri Rol-Tanguy, organizzò l’insurrezione che il 25 agosto 1944 liberò la città. Oggi c’è un museo della Resistenza.
Caro Merlo, per la ghigliottina: “beneficio d’inventario, buca lo schermo, calma e gesso, è un massacro, irricevibile, la piazza globale, la pistola sul tavolo, riprendersi i propri spazi, sono carico, strapparsi i capelli”. E per l’altare (di Putin): zitto e Mosca.
Pierpaolo Mastroiacovo e Generoso Andria
Ghigliottina.
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