ROMA – Il gas continua a fluire dalla Russia senza interruzioni. Ma non più il petrolio. Dopo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, è la volta dell'Italia: il suo colosso di stato, il gruppo Eni, ha confermato di non voler più sottoscrivere nuovi contratti per acquisti di greggio e dei suoi derivati. Una manovra di accerchiamento attorno alle compagnie petrolifere di Mosca che trova un nuovo alleato: gli Emirati Arabi Uniti hanno preso posizione a favore di un aumento della produzione di greggio all'interno dell'Opec+, spaccando la linea della fermezza fin qui sostenuta dal'Arabia Saudita e dalla stessa Russia.
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Così, l'emergenza energetica diventa sempre più geopolitica, oltre che economica. Lo dimostrano le decisioni delle ultime ore. Tra le compagnie europee Eni è stata la più rapida nell'allinearsi al tentativo dell'Occidente di mettere in difficoltà il Cremlino andando a incidere sulla più importante entrata per il bilancio della federazione: le esportazioni di idrocarburi. L'Europa non può fare a meno dal gas, visto che dalla Russia arrivano oltre il 40% delle forniture complessive. E prima di sospendere acquisti (e relativi pagamenti). Diverso il caso del petrolio, più facilmente sostituibile.
Questo spiega la decisione di Eni, legata a Gazprom – la principale società sotto il controllo del Cremlino – con contratti di lungo periodo per il gas (tra l'altro in via di rinegoziazione). Per il petrolio è diverso, i fornitori possono essere molteplici e non legati a infrastrutture "fisse" come i gasdotti, visto che il greggio per lo più viaggia via nave.
Il ricatto del gas
di
Carlo Bonini (coordinamento editoriale)
,
Giuliano Foschini e Luca Pagni. Coordinamento multimediale di Laura Pertici. Produzione Gedi Visual
Il problema della sostituzione può così essere risolto con un aumento della produzione da parte dell'Opec+. Finora, il cartello dei maggiori produttori allargato alla Russia, si era sempre rifiutato di ascoltare gli appelli da parte delle maggiori cancellerie mondiali per andare oltre i 400mila barili al giorno di aumento della produzione, decisa più di un anno fa per recuperare i livelli pre-covid. Un forte compatto che da ieri mostra le prime crepe. Sono stati gli Emirati Arabi Uniti a schierarsi per una accelerazione nelle estrazioni.
Una mossa che potrebbe portare a un duplice vantaggio. Da un lato potrebbe infuire positivamente sulle quotazioni del petrolio, raffreddando i prezzi. Dall'altro farebbe aumentare a disponibilità di materia prima, così da sostituire la quota russa embargata. Più difficile capire se questo potrebbe comportare minori entrate per il governo di Vladimir Putin, perché anche i russi potrebbero trovare compratori alternativi, per esempio in Asia. Ma molto dipenderà anche dalla volontà del governo cinese di sostenere o meno la Russia.
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