"Maker Faire Rome – The European Edition", organizzata dalla Camera di Commercio di Roma attraverso la sua Azienda speciale Innova Camera, apre le sue porte il 10 dicembre, fino al 13 dicembre 2020. Porte che, in effetti, a causa delle restrizioni sanitarie saranno virtuali: quest'anno, infatti, la fiera si svolgerà in forma digitale. Ma se questo normalmente dovrebbe essere un limite, nel caso della manifestazione romana si trasforma in una grande occasione di innovazione. D'altronde si tratta della più importante manifestazione europea sull'innovazione, vetrina per giovani talenti e "piazza" dove maker, imprese e appassionati di ogni età e background si incontrano per presentare i propri progetti e condividere conoscenze e scoperte. Riunisce gli appassionati di tecnologia, professionisti, le scuole, le università, gli educatori, i centri di ricerca, artisti e musicisti, gli studenti e le imprese.
Abbiamo parlato con Valentino Catricalà, curatore della sezione Art di Maker Faire, per discutere dell'evento e per fare un punto sul rapporto tra arte e tecnologia.
Una domanda che mi pongo – e che pongo – sempre più spesso riguarda il rapporto tra l'arte e la Rete, ovvero la possibilità che essa diventi stabilmente una nuova e alternativa sede per usufruire dell'arte. Questa edizione di Maker Art sta tracciando quella via?
Sicuramente questa edizione di Maker Art, che sarà online, nasce da un'esigenza molto concreta, legata al periodo che stiamo vivendo; che effettivamente, se vogliamo coglierne uno dei rari aspetti positivi, è stato anche un grande laboratorio digitale. Perché questa pandemia, se da un lato ci ha fatto assolutamente rendere conto di quanto abbiamo bisogno di fisicità e di contatto, dall'altro ci ha fatto definitivamente capire che non avevamo sviluppato abbastanza le potenzialità dell'online. È scattato qualcosa che ci ha fatti cambiare: se prima ogni tanto poteva capitare di fare una videochiamata via Skype, adesso pare quasi strano il fatto di incontrarsi… o, per meglio dire, il seguire un progetto incontrandosi fisicamente in modo regolare: oggi si fa una riunione iniziale e poi si continua a lavorare tramite riunioni virtuali. Ecco perché l'ho definito laboratorio del digitale. Ma va detto che per quanto riguarda l'arte, lo è stato solo fino a un certo punto, perché la necessità di fisicità ovviamente rimane e con l'arte è inevitabile. La Maker Art Faire è stata pensata per essere sia fisica che virtuale, e credo che il futuro non sia orientato verso un aumento della virtualità e dell'online, ma piuttosto verso l'integrazione sempre maggiore tra la parte fisica e quella virtuale. E non mi riferisco semplicemente al fare un buon sito relativo ad una mostra, ma al fatto che i contenuti stessi della mostra fisica e del sito saranno sempre più pensati per un'interazione costante, come potrebbe essere ad esempio un'opera fisica che si completa con i contenuti virtuali o viceversa. Inizialmente il progetto di Maker Art era stato pensato così, questo è da sempre il mio focus, e la sezione arte ha assunto in quest'occasione un'organicità importante con tantissimi artisti, sia di nicchia che famosi, e tanti ospiti internazionali.
Come può l'arte, escludendo quella performativa e al di là della net.art, prescindere dalla fisicità dell'opera?
Non può, assolutamente. Ma noi abbiamo sviluppato e svilupperemo sempre più una serie di potenzialità della Rete che in precedenza non avevamo compreso del tutto, che sicuramente andranno a completare le opere. Per l'edizione dell'anno prossimo io immagino già quello a cui accennavo prima, ovvero una mostra fisica dove però i contenuti virtuali saranno importantissimi, con un sito non più vetrina, ma vero e proprio luogo di esplorazione dell'esposizione. Come già peraltro questa edizione dimostra, perché in questo periodo – come dicevo prima, accelerando il processo di conseguenza alle restrizioni sanitarie – ho cercato di capire come sfruttare nel miglior modo possibile la componente online. Per esempio, uno dei tre blocchi della sezione arte di Maker Art è relativo alla realtà aumentata, per cui ho contattato AR Market che ha prodotto appositamente per noi tre opere create ad hoc assieme agli artisti Rä di Martino, Elena Bellantoni e Antoni Abad: l'obiettivo era quello di creare l'opera uscendo dalla piattaforma per entrare nella realtà, e noi avremmo voluto farlo nelle piazze; ma a causa dei lockdown, per questioni legate ai tempi e per paura di un nuovo decreto che bloccasse tutto quanto abbiamo pensato di farlo fare dentro casa, portando all'interno delle abitazioni queste tre opere e quindi le piazze stesse.
Gli altri due blocchi di Maker Art di cosa trattano?
C'è la sezione dedicata completamente alla realtà virtuale, realizzata con Rai Cinema: si tratta di video a 360°, con ambienti virtuali da esplorare, e c'è la sezione relativa alle opere online. È stato fatto un grande lavoro creando opere pensate ad hoc, da poter vivere con – e nella – piattaforma. Per esempio, L'artista Claudia Hart ha creato un ambiente virtuale per social in cui interagire, con lei all'interno, che farà delle visite guidate. Il colombiano Miltos Manetas sarà costantemente collegato con la piattaforma e potrà interagire con tutti mentre dipingerà, con la gente che gli manderà immagini del Gasometro: la Maker Art si sarebbe infatti dovuta tenere lì, e quindi lui ipotizza un potenziale Gasometro. Oppure ci sono performance online fatte ad hoc per la Maker Art come quelle di Roberto Pugliese o Donato Piccolo, come anche i contributi di grandi artisti come i MASBEDO o Davide Quayola, che ci hanno dato dei video di performance che hanno girato per la Fiera. Insomma, vengono esplorate tutte le possibilità del fare arte con la Rete, compresa anche la sound art.
In una visione transumanista ci sarebbe ancora spazio per l'arte come oggi la intendiamo, o più pessimisticamente le emozioni – e quindi plausibilmente anche l'arte – ci abbandonerebbero?
Questa e una domanda interessante, perché nella tradizione artistica il transumanesimo è sempre visto un po' in modo negativo, essendo quel concetto che cerca in modo positivista di accrescere e potenziare il corpo attraverso la tecnologia, con l'idea di un corpo un po' debole a fronte di una tecnologia potente che ci aiuta a diventare più intelligenti. Ma l'arte ha risposto con una visione in cui integra la tecnologia per creare una nuova sensibilità che prima non esisteva: quindi non il concetto del potenziamento del corpo o della mente, ma le ipotesi su un nuovo sentire attraverso la tecnologia. Ovvero: che tipo di nuove emozioni possiamo creare attraverso la tecnologia e gli sviluppi tecnologici? Questo, in pratica, ribalta la domanda.
L'ultima mostra che ho visto prima del primo lockdown, ovvero Aria di Tomàs Saraceno, parlava di aria, di respiro, di come uscire dall'antropocene. In questo momento particolare ci siamo dentro in pieno; gli artisti che operano con le nuove tecnologie sono forse gli interpreti giusti per raccontare questo momento storico, e avanzare ipotesi risolutive?
Nel mio libro "The Artist as Inventor" che uscirà l'anno prossimo per un editore inglese (Rowman & Littlefield, Londra NDR), io propongo una nuova visione dell'arte che già avevo elaborato nel mio libro precedente ("Arte e tecnologia del terzo millennio. Scenari e protagonisti", scritto insieme a Cesare Biasini Selvaggi – Electa per i Quaderni della Farnesina, NDR), resa particolarmente evidente in seguito al lockdown. Se noi guardiamo ai dibattiti che sono stati fatti ultimamente sull'arte e sull'artista, noteremo che vertono tutti sulla necessità di un sostegno economico per gli artisti da parte dello Stato. Dibattiti giustissimi, ma ne è venuta fuori un' immagine sempre un po' debole e "sfigata" di questi artisti che, poverini, non hanno mai una lira, e via dicendo. Ora, il sostegno è una cosa buona e giusta; ma se noi ribaltiamo anche qui il punto di vista, e invece di pensare a quanto lo Stato debba sostenere gli artisti pensassimo a quanto l'artista possa sostenere oggi lo Stato… allora cambiano le cose. Soprattutto gli artisti che lavorano con le tecnologie sono dei motori per il futuro. Infatti oggi, non a caso, grandi aziende come Microsoft, Google, Facebook ma anche il Cern, stanno inglobando gli artisti – e non i designer o i creativi – all'interno dei processi produttivi delle aziende, perché hanno capito che danno un di più che gli altri non riescono a dare. Quindi l'artista viene visto non solo come colui che crea contenuti per il mondo dell'arte, ma come un vero e proprio motore per l'innovazione. Ecco quindi che nel momento in cui si relaziona con la scienza – come fa proprio Saraceno con il progetto dell'Aerocene – l'artista diventa fondamentale per rileggere l'uomo e la scienza intorno al concetto di antropocene. Non è un caso che il progetto di Saraceno sia stato pensato dentro a un dipartimento scientifico e non nello studio di un artista, né lo è il fatto che abbia addirittura influenzato gli scienziati nel portare avanti altre ricerche. L'engine, il trigger e stato l'artista, che invece di seguire lo scienziato o il tecnico con una tecnologia già fatta, ha proposto egli stesso una nuova visione alla scienza e quindi una nuova visione dell'uomo. Oggi, col bisogno di futuro che abbiamo, l'artista è fondamentale per ripensare e ricreare questo nostro futuro.
Si inaugura quindi un nuovo ruolo dell'artista? Passeremo da: "Con la cultura non si campa" a "camperemo grazie agli artisti e alle nuove tecnologie"?
Esatto. D'altronde io penso che quell'affermazione sia la visione di una vecchia tradizione che è ancora molto radicata nel senso comune, quella dell'artista bohémien, un po' pazzo, chiuso nel suo studio e preso dal pathos della passione e della creazione. Cosa certamente bellissima; però oggi gli artisti sono dei professionisti e delle persone che lavorano nei centri di ricerca. Saraceno ha 70 persone che lavorano per lui nel suo studio: designer, creativi e ingegneri che un artista paga per lavorare alla creazione di nuove idee. Quindi si tratta proprio di un'altra idea di artista, siamo proprio in un altro mondo, quella è un'azienda che fa pura innovazione sostenibile per l'umanità. È cambiato del tutto il punto di vista. Per questo sono felicemente coinvolto come curatore nella Maker Art Faire, perché mi da la possibilità di portare avanti questa visione. E quest'anno c'è stato un grosso seguito da parte degli artisti e del mondo dell'arte.
Maker Faire Rome è la più importante edizione di Maker Faire al mondo a parte l'originale di San Francisco. Il fatto che Roma sia al centro di questo progetto significa che il nostro Paese è particolarmente all'avanguardia rispetto al rapporto tra creatività – e anche arte – e innovazione tecnologica?
Forse è una cosa che sfugge ai più, ma i romani e Roma hanno una antica e consolidata tradizione di innovazione. Il Colosseo è un esempio di innovazione pazzesco. Un monumento che esiste da millenni, tanto che forse ce ne si è fatta l'abitudine. Noi siamo circondati da innovazione. È un'archeologia dell'innovazione, ma ne siamo realmente circondati. E Maker Faire tira nuovamente fuori questo spirito, che effettivamente secondo me è insito all'interno della cultura romana e italiana; dimostrando quanto, se noi riusciamo a far emergere e a dare seguito e speranza e soprattutto credito agli innovatori che sono sul territorio – come per prima ha fatto la Camera di Commercio con Maker Faire -, Roma possa davvero essere la città dell'innovazione: non Milano, non Londra, non Parigi. Insomma, non è certo per caso che la fiera dell'innovazione più importante d'Europa si faccia a Roma.
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