BOLOGNA. I suoi figli, appena finito di vedere il film, gli hanno detto che Nino era lui. E basta aver frequentato un po’ la filmografia di Pupi Avati per cogliere nella trasposizione sullo schermo di "Lei mi parla ancora", il libro di Giuseppe Sgarbi, il mondo del regista bolognese. «C’è molto di me – ammette – In uno dei dialoghi più felici si dice che a una certa età si smette di abbracciarsi. È una frase di mia moglie. C’è tutta la mia esperienza di un uomo che ha trascorso cinquantacinque anni con la stessa donna e il panico di temere di trovarsi ad affrontare la stessa perdita di Nino».
La storia narrata in " Lei mi parla ancora", in onda in prima visione su Sky Cinema l’8 febbraio alle 21.15 e on demand su Now Tv, è infatti quella di Nino Sgarbi, padre di Vittorio ed Elisabetta, che dopo 65 anni di matrimonio perde l’amata moglie Rina. «E questo è anche l’incipit del film – osserva il regista – che poi, anziché illustrare gli eventi rievocati in quelle pagine, indugia su " come" quel romanzo fu scritto. Sull’incontro fra due uomini di età, cultura, visione, opposti» . Uno è Nino Sgarbi, l’altro il ghost writer Giuseppe Cesaro, che lo aiuta a mettere nero su bianco la sua vita con Rina. Il protagonista è un inedito Renato Pozzetto, nuova felice intuizione di Avati, mentre nei panni della moglie si alternano Stefania Sandrelli e Isabella Ragonese. Fabrizio Gifuni è poi il ghost writer, mentre ritroviamo i bolognesi Chiara Caselli, nel ruolo della figlia Elisabetta, Alessandro Haber in quello dello zio, Serena Grandi, la mamma di Nino.
Tra passato e presente, le promesse giovanili, la grande casa di Rho ferrarese, la farmacia di famiglia, la passione per l’arte, Avati mette in scena un nuovo felice viaggio nella nostalgia. «Sguazzo nel raccontare gli anni Cinquanta – continua – un’epoca in cui la locuzione "Per sempre" era ricorrente. Non solo in amore, ma nell’amicizia, per gli oggetti» . È nei dialoghi tra il ghostwriter, un’esistenza all’insegna della precarietà affettiva, e Nino, che emerge la differenza con la modernità. «A 82 anni spiega – so l’importanza che ha avuto per noi l’illudersi. Quando vendevo bastoncini di pesce al supermercato della Standa a Bologna, sognavo di fare il regista».
Girato nel ferrarese, col sostegno della Regione, prodotto dalla Vision Film col fratello Antonio, scritto col figlio Tommaso, il film era pensato per il grande schermo. «Sarà complicato ricreare la necessità della sala – conclude Avati – il periodo si sta prolungando in modo grave. Ci stiamo abituando a vederlo a casa, il cinema. Io invece vorrei accompagnare quest’opera in un sala gremita e vedere gli spettatori con le lacrime agli occhi».
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