"Ho urlato solo per salvarlo, come un padre che urla al figlio, perché non voleva mettersi la maschera Cpap che in quel momento era fondamentale ma non voleva indossare". Angelo Cefalo, medico del 118 di Taranto, spiega così quel suo "Fra dieci minuti muori!" rivolto a Francesco Cortese, paziente Covid morto la mattina del 3 novembre dell'ospedale Moscati. Lo fa durante una conferenza stampa nell'auditorium del padiglione Vinci dell'ospedale Santissima Annunziata, al quale hanno partecipato tra gli altri anche il direttore del 118, Mario Balzanelli, e il direttore generale Asl Stefano Rossi che hanno preso posizione per difendere l'operato del medico. La vicenda era stata raccontata dalla figlia di Cortese, Angela, avvicata di Martina Franca.
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"Ho conservato come in una cassaforte i messaggi su whats'app con la figlia, perché le ho dato la mia disponibilità per spiegarle cosa fosse accaduto e un conforto per la perdita del padre". Cefalo ha descritto quei momenti concitati, nei quali è intervenuto anche l'anestesista.
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"Ho fatto l'emogas al paziente, è risultata saturimetria bassissima, era un paziente affetto da cardiopatia e insufficienza renale, con una fistola al braccio, aveva bronchite cronica e diabete. Se fosse stato intubato non ce l'avrebbe fatta, perciò per convincerlo a mettere la Cpap ho utilizzato un linguaggio trasparente, come siamo abituati a fare noi medici che ci relazioniamo con pazienti e parenti".
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Cefalo racconta del telefono di Cortese che squillava in quei momenti e del dialogo avuto con la figlia. "Tra dieci minuti muori glielo dicevo solo per convincerlo a mettere la mascherina, gli ho detto se aveva voglia di rivedere i suoi nipoti. Ovviamente i dieci minuti non erano reali ma era la mia disperazione emergentista, perché il nostro lavoro si basa sui secondi che erano fondamentali per salvare la vita del paziente, che purtroppo non ce l'ha fatta dopo circa due ore. Quella che è una sconfitta della famiglia è in primis la nostra".
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