ROMA – Nell’ultimo decennio i super-ricchi in Italia sono cresciuti di numero e hanno moltiplicato le proprie entrate. Ma per loro è aumentata anche la tassazione. Da 2009 al 2018 – secondo una ricerca di Elexia, un network di 40 avvocati e commercialisti di Milano, Roma e Firenze – i contribuenti italiani sopra i 120.000 euro lordi annui sono cresciuti del 31 per cento, passando da 249.313 a 325.424. I soggetti con redditi elevati rappresentano appena lo 0,8 per cento su un totale di contribuenti di 41 milioni, e percepiscono circa l'8 per cento del reddito complessivo, il che indica di pe sé una notevole concentrazione della ricchezza. Tuttavia questi stessi soggetti versano ben il 16 per cento dell'intera torta Irpef nazionale contro l’11 per cento all’inizio decennio considerato.
Ma chi sono questi super-ricchi? Non quelli che immaginiamo: "La ricerca – osserva Nicola Cinelli, managing partner di Elexia – sfata un mito diffuso: i proventi dei super-contribuenti non derivano dai patrimoni, ma vengono da lavoro e pensioni, che rappresentano la fonte primaria per oltre l'80 per cento di questi soggetti. Non è corretto, quindi, identificare i percettori di alti redditi con i veri ricchi, cioè i possessori di grandi patrimoni, i cui proventi, per assurdo, godono invece di generose agevolazioni fiscali". Per l’esattezza, in 8 casi su 10 si tratta di imprenditori, dirigenti, professionisti, magistrati e docenti universitari. “Su base territoriale – si legge nella ricerca – in testa c'è la Lombardia con 130 super-contribuenti ogni 10.000 percettori di redditi. Seguono Lazio (112), Trentino Alto Adige (106), Emilia Romagna (92) e Veneto (86). In coda Calabria (21), Basilicata (25) e Molise (30)”.
Nel corso degli anni il Fisco – notano gli estensori della ricerca – si è accanito contro i super-contribuenti, inasprendo le aliquote. Nel 2002 a chi guadagnava 120.000 euro lordi annui si applicava una imposizione Irpef di 37.762 euro (addizionali escluse), pari a circa il 31,5 per cento. Nel biennio successivo (2003-2004) c'è stato un alleggerimento, con il carico sceso a 37.086 euro (30,9 per cento). Poi un'escalation inarrestabile, culminata con il regime attuale, in vigore dal 2007. Ora la zavorra Irpef è balzata a 44.700 euro, oltre 7.000 euro in più rispetto all'inizio del secolo. In realtà il carico complessivo è ancora più elevato a causa delle addizionali comunali e regionali che si sono inasprite nel corso del tempo. Infine, dal 2020 – si legge nello studio – a chi guadagna oltre 100.000 euro lordi annui, è stata ridotta la possibilità di dedurre dal reddito molte spese, riconosciute invece agli altri contribuenti. Fino ad azzerarsi sopra i 240.000 euro lordi annui.
Un fardello che non trova eguali in Europa, rileva l'indagine Elexia. "Un raffronto a livello europeo non è semplice – sottolinea Nicola Cinelli di Elexia – perché i regimi fiscali sono molto diversi. In Francia, per esempio, l'imposizione è su base familiare e non personale. In generale si può stimare che i contribuenti italiani con redditi sopra 120.000 euro annui paghino dal 25 al 30 per cento in più rispetto ai loro omologhi negli altri Stati".
L'indagine Elexia rivela alcune storture e contraddizioni del sistema tributario italiano.
Un reddito da lavoro, dipendente o autonomo, di 120.000 euro lordi, per esempio, è assoggettato a circa 50.000 euro di Irpef, nazionale e locale, pari al 42 per cento. Un vero salasso, a cui si aggiungono i contributi previdenziali e altri oneri. Va anche peggio a professionisti e lavoratori autonomi con partita Iva, per i quali si aggiungono gli oneri previdenziali che portano la pressione fiscale a oltre il 60 per cento. Se invece – calcola Elexia – s’incassa lo stesso importo come dividendi o interessi, l'esborso si riduce a 31.200 euro, grazie all'aliquota fissa del 26 per cento. Ancora meglio per chi incassa 120.000 euro annui con l'affitto di abitazioni: grazie alla cedolare secca del 21 per cento, sborsa soltanto 25.200 euro. Chi poi percepisce 120.000 euro come cedole di titoli di Stato subisce un prelievo di 15.000 euro, corrispondente all'aliquota fiscale del 12,5 per cento. Se lo stesso introito deriva invece dalla plusvalenza sulla rivendita di un immobile dopo cinque anni dall'acquisto o dall’eredità, la tassazione è pari a zero.
“Il problema dell’eccessiva tassazione dei lavoratori dipendenti, soprattutto di quelli ad alto reddito è riconducibile anche alla diffusa evasione che connota il nostro Paese”, commenta Mario Mantovani, presidente della Cida (la Confederazione dei dirigenti d’azienda) e neopresidente di Manageritalia (l’associazione dei dirigenti del terziario). Al confronto, come si vede dalla ricerca, i “rentiers” pagano molto meno. Al confronto di quello che avviene per il lavoro, come si vede dalla ricerca, i “rentiers” pagano molto meno. Se non si combatte l’evasione e si allarga la base imponibile ai redditi reali saranno sempre i soliti noti, dipendenti, più o meno ricchi, a pagare”.
A Federmanager, l’organizzazione che rappresenta i manager dell’industria e dei servizi, rimarcano che “bisogna evitare ogni strumentalizzazione su chi percepisce redditi più alti”, così dichiara il presidente Stefano Cuzzilla. “Parliamo di lavoratori e pensionati che stanno sostenendo le casse pubbliche. Sono loro che nei fatti fanno solidarietà, finanziando con i loro contributi la spesa assistenziale erogata dall’Inps. Ricordiamoci che circa la metà degli italiani non presenta alcuna dichiarazione dei redditi. E che forse, invece che di patrimoniale, sarebbe meglio parlare di lotta all’evasione fiscale”.
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