Adesso che i tamponi rapidi antigenici sono più sicuri e molto sensibili resta una domanda: quindi i test fatti in precedenza – di cui nel Lazio è stato fatto largo uso – non erano sicuri? La risposta è che non lo erano a sufficienza, almeno non in modo da garantire una diagnosi precisa e affidabile. Conseguenza: falsi negativi, per settimane per mesi, in giro per le strade e negli uffici, con buona pace dei drive in.
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di DANIELE AUTIERI
Dal 15 gennaio per la prima volta nei report ufficiali i tamponi rapidi sono stati conteggiati insieme a quelli molecolari. Una decisione che il ministero della Salute ha preso dopo un lungo confronto con le regioni, in alcune di queste i test rapidi sono infatti più utilizzati dei molecolari e diversi amministratori, compreso i rappresentati del Lazio, hanno spinto per riportare nei conteggi anche gli antigenici.
Adesso si conteggiano più tamponi e quindi i positivi si diluiscono, il calcolo dell’indice di positività, cioè il rapporto tra nuovi contagi e numero dei test effettuati, cala notevolmente, in alcuni casi si dimezza, e tutto questo incide sulla scelta delle colorazioni e delle restrizioni.
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La cabina di regia, composta dal ministero e dal comitato tecnico scientifico, ha resistito per settimane alle sirene regionali, consapevole che gli antigenici proposti in commercio nella prima fase e fino a pochi giorni fa avevano una sensibilità inferiore rispetto ai molecolari fino al 30%. Un pericolo già messo in evidenza a settembre da una direttiva ministeriale firmata dal professor Rezza, il quale avvertiva che i test rapidi possono servire a identificare focolai di massa come “porti, aeroporti, scuole” ma per i singoli individui rischiano di fornire “risultati falso-negativi”. Cioè persone che diventano vettori di virus nella popolazione.
Nel Lazio questi test “traditori” sono stati messi in commercio nelle farmacie, sono stati utilizzati in strutture private autorizzate, nei drive in per velocizzare le file chilometriche nonché per gli studenti dai 14 ai 18 anni per la riapertura delle scuole. Veloci ma poco precisi.
Poi la svolta è arrivata nell’ultima circolare del ministero della Salute in tema di tamponi. “I test di ultima generazione sembrano mostrare risultati sovrapponibili ai saggi di RT-PCR” è la notizia di primaria importanza che ora apre la strada a una diagnostica più veloce e soprattutto più certa. Più veloce perché questi test di ultima generazione consentono di avere una risposta in pochi minuti. Più certa perché purtroppo la sensibilità delle prime due generazioni di questi test non era così elevata.
Si è deciso nei bollettini non di sommare ma di affiancare le due tipologie di test. Il Lazio finora ha testato 2 milioni 265mila 463 persone, ha effettuato 3 milioni di test molecolari, i tamponi processati con test antigenico rapido nelle ultime due settimane sono 150.264. Per un totale di tamponi effettuati pari a 3 milioni 150mila, è la seconda regione per uso degli antigenici dopo il Veneto (234mila).
Resta da capire se in questo cesto ci sono i nuovi antigenici di terza generazione o se si fa utilizzo ancora delle vecchie forniture.
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Cerchiamo di capire la differenza. Gli RT-PCR vengono analizzati attraverso metodi molecolari e l’analisi può essere effettuata solo in laboratori altamente specializzati. Questi test hanno un vantaggio in termini di screening (non si perdono i falsi negativi), ma hanno una tempistica molto lunga. Ci voglio almeno 24 ore prima di avere un referto e in molti casi la tempistica supera le 48 ore.
I test rapidi antigenici hanno tempi di risposta molto brevi, circa 15 minuti, non viene cercato l’RNA del virus bensì si ricerca la presenza degli antigeni, le proteine che sono riconosciute come estranee dal sistema immunitario. La circolare del ministero ricorda che i molecolari restano il gold standard.
Fatte le dovute differenze, la ratio sarebbe dovuta essere quella di utilizzare il tampone molecolare per lo screening di quelle categorie più a rischio di poter contagiare altre persone creando così dei focolai, per esempio gli operatori sanitari. E gli antigenici rapidi si sarebbero potuti utilizzare per uno screening più ampio, che però, data la bassa sensibilità, si sarebbe dovuto ripetere più volte nelle stesse persone a distanza di pochi giorni.
Secondo la circolare i test antigenici di ultima generazione “sembrano mostrare risultati sovrapponibili ai saggi di RT-PCR”, specie se utilizzati entro la prima settimana di infezione. Un cambiamento non indifferente in quanto la problematica delle precedenti due generazioni di antigenici era proprio la bassa sensibilità. L’ultima generazione di test rapidi quindi “risulta essere una valida alternativa alla RT-PCR”.
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Ma quale test viene utilizzato ora? La circolare raccomanda l’utilizzo dei test molecolari ma nel caso non siano disponibili indica il ricorso a test antigenici rapidi con i requisiti minimi di performance, appunto gli ultimi arrivati più specifici. In pratica però, può capitare ancora di utilizzare, a discrezione delle Asl e in base anche a ciò che è stato acquistato finora e alle eventuali riserve, i test rapidi di prima e seconda generazione.
Un pasticcio che è stato fatto nella prima fase, quando l’uso dei rapidi poco affidabili ha messo in circolazione diverse persone positive a loro insaputa.
Dietro questa contesa apparentemente tecnica, si nascondono infatti scelte di strategia e di politiche regionali. Il sistema di controllo ad esempio passato dai test molecolari ai test rapidi è stato uno dei motivi della debacle veneta nella seconda ondata e uno dei punti di rottura tra Zaia e Crisanti.
Le verifiche cliniche condotte dallo staff di Crisanti evidenziarono infatti che questi test veloci avevano degli alti margini di errore: una sensibilità al virus del 70 per cento, quindi tre positivi su dieci che rischiavano di passare per negativi. In un caso su dieci, secondo lo studio Crisanti, la falsa negatività riguardava addirittura i pazienti con una “carica virale molto elevata”.
I cosiddetti super-diffusori, cioè persone in grado di far esplodere nuovi focolai nella erronea convinzione di non essere contagiosi. Lo studio di Crisanti con la collaborazione dell’università di Padova viene pubblicato il 21 ottobre, nello stesso mese è in corso una gara d’appalto per una maxi fornitura di test rapidi in sette regioni, tra cui il Lazio e il Veneto. Nel giro di pochi giorni Zaia toglierà la gestione della pandemia a Crisanti.
Proprio in Veneto, il comitato tecnico scientifico regionale ha chiesto più volte di sottoporre medici e infermieri a esami molecolari. Per non mettere in pericolo operatori sanitari, familiari, cittadini. Nel Lazio l’uso degli antigenici meno affidabili è stato di circa 40mila al mese.
Adesso che i tamponi rapidi entrano nel cesto con cui si valuta la curva dei contagi, a partire dal rapporto tra nuovi positivi individuati e tamponi processati, si auspica che siano utilizzati solo quelli più sicuri, per le categorie a rischio e poi per tutti gli altri. Per tutelare la salute e perché questo dà indicazioni per stabilire il colore delle singole regioni.
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