"Ne resterà soltanto uno", recitava la frase simbolo di un film cult di metà anni '80. "…e poi non rimase nessuno" è, invece, il titolo con il quale il romanzo giallo di Agatha Christie "Dieci piccoli indiani" fu pubblicato per la prima volta in Italia nel 1946. E forse non è un caso che, per decifrare questo ennesimo rimpasto della giunta 5 Stelle di Roma, si debba far ricorso alla fiction (e pure un po' ai reality show). Perché l'annunciato "licenziamento" notturno di Luca Bergamo e Carlo Cafarotti fa tornare alla mente la foto di gruppo della prima giunta Raggi, quella varata sulle ali di un enorme successo elettorale agli inizi di luglio di 5 anni fa.
Di quella squadra, Raggi esclusa, sono rimasti soltanto in due: Daniele Frongia (allo Sport, oggi come allora) e Linda Meleo (nel frattempo passata a occuparsi di lavori pubblici dopo una non memorabile esperienza ai trasporti). Il resto sparito, cancellato: una pattuglia di "tecnici", più o meno adatti al ruolo, sostituiti nel tempo da un gruppo di fedelissimi della sindaca, capi staff e delegati promossi al rango di assessori con deleghe di un certo peso suddivise, spacchettate o riassemblate come fossero pezzi di Lego dalla forma approssimativa. Il risultato, appunto, è un accrocco che, quando mancano cinque mesi (pandemia permettendo) alle elezioni, dovrebbe ridare slancio a una consiliatura agli sgoccioli che annaspa, persa nel quotidiano.
Soltanto negli ultimi 50 giorni il Comune ha ricevuto l'altolà dell'Antitrust per chiudere "l'illegittimo e costoso" (parole dell'Authority) contratto con Acea per l'illuminazione pubblica in città; la lettera dei commissari giudiziari che lanciano l'allarme sull'operazione concordato per Atac, a rischio perché il Campidoglio ha finora disatteso tempi e pagamenti previsti; l'ennesimo pasticcio sui conti di Ama che da 4 anni non approva un bilancio; e, infine, l'accorata denuncia del liquidatore di Roma Metropolitane che annuncia l'insolvenza dell'azienda dal prossimo 31 marzo, con conseguente stop ai lavori per la linea C e possibile blocco delle linee A e B per mancati interventi di manutenzione.
Questioni delicatissime che dovrebbero preoccupare il Comune e sulle quali non una parola ha speso la sindaca, impegnata, invece, a pubblicare post su Facebook su piccoli (e sicuramente necessari) lavori di manutenzione in parchi, ville e strade. È questa per Virginia Raggi la capitale del 2021, una città dove è possibile cambiare in corsa l'assessore alla Cultura e quello al Commercio a pochi mesi dalle elezioni non per scivoloni o per un giudizio negativo sulla loro attività, bensì per "diversità di visioni politiche per il futuro di Roma", come ha scritto la sindaca nella "lettera di licenziamento" consegnata a giornali e tv.
Tradotto: Cafarotti e (soprattutto) Bergamo avevano espresso forti perplessità sulle modalità di una ricandidatura che Raggi sta pervicacemente portando avanti, aiutata in questo anche dal deserto che si percepisce nei campi avversi di centrosinistra e centrodestra. Esclusioni politiche che, al netto del parere positivo o negativo su quanto fatto dai due (ex) assessori, lasciano due settori cruciali per la città, Cultura e Commercio, nelle mani di chi, comunque sia, dovrà cominciare da zero. Il tutto, in attesa del giudizio dei romani, gli unici che tra pochi mesi potranno mettere un voto al reality show della giunta 5 Stelle arrivato, forse, alla stagione conclusiva.
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