ROMA – Da una delle regioni locomotiva del Paese, Enrico Carraro – appena rieletto alla presidenza di Confindustria Veneto – segue con incredulità e preoccupazione le difficoltà nella definizione del Recovery Plan e la crisi di governo.
La Commissione Ue ci chiede riforme vere, di sistema. La Bce avverte che non potrà comprare in eterno i nostri titoli di Stato, per sostenerci. Come valuta i richiami europei all'Italia?
"A volte, scusi lo sfogo, mi sembra di vivere in un Paese di matti".
Ecco.
"L'Europa ci ha dato un'enorme apertura di credito. E sappiamo bene quanta diffidenza ci fosse, verso di noi, in alcune Nazioni vicine. Mi sarei aspettato che l'Italia facesse fronte comune. Che lavorassimo tutti insieme per cogliere questa storica opportunità. Invece abbiamo scritto questo Recovery Plan…"
Non le piace il quadro di interventi, di progetti?
"Non dovevamo scrivere la lista della spesa. L'Europa ci chiedeva anche di decidere una governance, una cabina di regia che governasse il processo, e di raffigurare un ritorno di questi investimenti in termini economici e di welfare. Invece…".
Che cosa'altro manca, a suo parere?
"Davvero pensiamo di spendere questi 200 miliardi senza mettere mano alla pubblica amministrazione, alla struttura burocratica del Paese e alla giustizia civile? Rischiamo di non riuscire a spendere il denaro entro il 2026, questa è la mia preoccupazione".
Anche perché l'Italia non presenta una grande pagella nella capacità di utilizzo dei fondi europei ordinari.
"Quelli vanno in larga parte al Mezzogiorno e a me, sia chiaro, sta bene. La coesione nazionale è una missione importante. I problemi del Sud sono anche i problemi del Nord. Ha ragione lei, la pagella non è buona: noi spendiamo appena 18 euro ogni cento che ci vengono destinati. E quando leggo certe statistiche penso con dolore ai nostri giovani".
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Perché?
"L'Italia sta assumento sulle spalle un enorme debito. E questo rappresenta una responsabilità verso le future generazioni, che dovranno ripagarlo. Quando io parlo di un ritorno degli investimenti, non è solo perché ragiono come un imprenditore. E' perché voglio lasciare ai giovani speranza e benessere, non cambiali da onorare".
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Viviamo forse la crisi politica più intempestiva di sempre.
"Sono d'accordo. Io dico: perché non l'hanno aperta tre mesi fa? Noi imprenditori – attenzione – non guardiamo al colore politico di chi ci governa. Ma abbiamo bisogno di un governo forte".
Con pieni potere, forse?
"Non dico questo. In democrazia i contrappesi istituzionali sono importanti. Ma ci vuole un governo forte, questo sì, capace di prendere decisioni importanti e forse impopolari. Un vuoto di potere a Roma non possiamo permettercelo neanche per un giorno. Vogliono andare al voto? Lo facciamo subito, senza esitare, se è l'unico scenario possibile. Serve un quadro di certezze".
Il suo Veneto, regione locomotiva del Paese, come fronteggia la seconda ondata della pandemia?
"Siamo una locomotiva a due velocità. Le aziende più grandi, quelle che da anni hanno uno sbocco sui mercati internazionali, reggono bene l'urto e stanno presentando dei buoni bilanci. Altre sono in difficoltà. Penso alla moda e al turismo che, in Veneto, contava su 70 milioni di presenze in un anno. In alcuni comparti ci sono e ci saranno contraccolpi forti. Per questo chiediamo tre cose".
Quali?
"Certezze, certezze e certezze".
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