L'allegria sembrerebbe bandita da un album che ha come titolo Songs for the drunk and broken hearted, canzoni per chi è ubriaco e ha il cuore in pezzi. Ma in realtà questo nuovo lavoro del cantautore inglese Passenger (al secolo Michael David Rosenberg) non è un disco triste. Anzi, i sentimenti forti che animano le canzoni spiccano in contrasto con quelli "plastificati" di molto pop contemporaneo, e hanno una loro brillantezza, una luce particolare che emana in ogni brano, sfuggendo a ogni malinconia negativa. Ed è giusto che sia così, perché Songs for the drunk and broken hearted è davvero un bel disco, e ascoltarlo è un eccellente modo per iniziare il nuovo anno. L'album arriva a sei mesi di distanza dal precedente Patchwork, scritto in realtà dopo, nei mesi della pandemia, e pubblicato a luglio. Mentre Patchwork era una sorta di fotografia istantanea che in qualche modo raccontava quello che stava accadendo all'artista e a noi tutti con l'arrivo della pandemia, Songs for the drunk and broken hearted è invece un album pensato, raccolto, che ci permette di ascoltare Passenger al meglio delle sue possibilità, un album chiaro, forte, appassionato, ma pubblicato senza fretta, lavorato con attenzione. Il trentaseienne artista inglese, diventato famoso in tutto il mondo nel 2012 con un ottimo singolo intitolato Let her go, fa parte di quella nuova generazione di singer/songwriter britannici che, Ed Sheeran in testa, ha contribuito a rinnovare in maniera fondamentale la scena del Regno Unito, influenzando tantissimi altri giovani autori. E proprio Sheeran, suo vecchio amico, ha voluto produrre la nuova versione di Sword from the Stone che apre l'album.
Quanto è difficile essere cantautore in questi tempi, raccontare un mondo così particolare?
"Non direi che sia più difficile, anzi la scrittura in questi mesi non è mai stata un problema, ho scritto tantissimo in lockdown. La cosa brutta è non poter suonare dal vivo, ma scrivere è stato piu semplice, addirittura, non a caso ho pubblicato due album in poco tempo. Credo di aver scritto più canzoni che in ogni altro anno della mia vita".
La solitudine aiuta? E il fatto che ci sia un clima difficile?
"Entrambe le cose, a dire il vero. Ho passato molto più tempo del normale a casa con la chitarra e i gatti, ho fisicamente vissuto con la chitarra in braccio. E se guardo al mio passato devo dire che ogni volta che la vita si è fatta più difficile o che ho vissuto tempi duri, ho scritto alcune delle mie cose più oneste e vere".
La sua musica viene spesso definita "healing music", aiuta le persone a stare meglio. È una sorta di genere, uno stile di scrittura. Le viene naturale o vuole che le sue canzoni abbiano questo effetto su chi le ascolta?
"Quando qualcuno mi dice, e capita, che con la mia musica sta meglio, penso che sia la cosa più bella che un autore può sentirsi dire. Per me è strano, io mi limito a scrivere canzoni e quando arrivano messaggi che dicono che una mia canzone ha aiutato, ispirato o curato qualcuno, è la cosa migliore che mi può capitare, capisco che quello che faccio ha un genuino impatto sulla vita della gente".
Quale è stato il motore della sua carriera?
"Non so, non credo di aver avuto un piano. Ascoltavo musica da ragazzo, prima di fare dischi non capivo come facessero a farli, mi sembrava una magia, ancora oggi penso che la musica sia la cosa più vicina alla magia sul pianeta terra. Ma sapevo che volevo esserne parte e ho cominciato a provarci. A 14, 15 anni scrivevo delle canzoni veramente brutte, ma ho insistito, sono migliorato, per quello che posso ricordare è l'unica cosa che mi interessava, era quello che volevo davvero fare. Tutto ha trovato un focus attorno ai venti anni, credo di aver capito quello che volevo dire e il modo di dirlo".
Lei fa parte di una generazione che ha rinnovato la canzone d'autore inglese e l'ha riportata al centro dell'attenzione nel mondo.
"Credo che i cantautori siano una delle cose buone del mio paese. Ci sono molte cose che non mi piacciono, specialmente adesso con la Brexit, ma la musica, la comicità, qualche volte il football, sono cose che hanno avuto un peso. Per un paese relativamente piccolo come il nostro è incredibile pensare quanta musica popolare straordinaria sia stata creata negli anni. I cantautori in particolare… direi che più che inglesi sono britannici, perché tanti arrivano dalla Scozia e tantissimi anche dall'Irlanda, che ha una ricca e viva tradizione folk dalla quale in tanti ancora oggi prendono spunto".
Le tradizioni hanno certamente contato. E le nuove tecnologie?
"Hanno aiutato. La cosa bella di adesso è che chiunque nel mondo ha accesso a tutto, dieci o venti anni fa no. Ad esempio molti anni fa andavo in Messico e c'erano centinaia di dischi pirata, nessuno comprava album, adesso il Messico è uno dei miei mercati più forti, un gran numero di persone ascolta di tutto, ed è bellissimo. Oggi se hai una buona canzone e la metti sulle piattaforme, l'intero mondo si apre davanti a te. L'altra cosa buona è che non devi essere con una major. Anni fa, se volevi fare un album, avevi bisogno di quel tipo di budget che solo una major poteva darti per registrare in un grande studio. Ora invece chiunque con un laptop e una buona idea può fare tutto da solo. In questo momento è una sfida ma il quadro generale è veramente positivo".
Lei ha realizzato due dischi in tempi molto brevi, la gente ascolta la musica molto velocemente, è bene o un male?
"Per me è tendenzialmente un bene, io scrivo così tanto e pubblico tante cose che le piattaforme streaming aiutano molto il mio modo di lavorare. Per altri che lavorano più lentamente invece è un problema, hanno bisogno di più tempo. Ma la velocità può essere una trappola e spingerti verso la quantità al posto della qualità. Bisogna trovare un punto di equilibrio.
E lei lo ha trovato con quest'album?
"Direi di sì, realizzarlo è stata una bella lezione. Io sono abituato a lavorare velocissimamente perché quando ho cominciato non avevo soldi e per registrare dovevo fare in fretta per non spendere troppo. La cosa buffa è che ora che non ho questo tipo di problemi continuo a lavorare così, il mio modo di pensare non è cambiato. Così, per il disco precedente, abbiamo fatto tutto di corsa a maggio per poter andare in tour durante l'estate. Questo disco era sostanzialmente già pronto ma il lockdown ci ha fermato. Avendo tanto tempo a disposizione ho cominciato a fare attenzione ai particolari, ho tolto tre canzoni e le ho sostituite con tre nuove, la qualità generale è cresciuta, ho 'massaggiato' l'album fino al punto di farlo diventare perfetto. Così, alla fine, forse è il miglior disco che ho mai fatto, per merito del tempo, e spero di aver imparato la lezione".
E ora ancora fermi, prima di poter tornare a suonare dal vivo.
"Sì, dobbiamo stare fermi, speriamo che la situazione migliori e che si possa tornare a suonare per l'estate. Amo suonare in Italia, ho un pubblico speciale, fedele, entusiasta e non vedo l'ora di tornare".
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