Avete un bosco ma non fate i contadini. Avete ereditato un pezzo di terra con degli alberi, ma non siete praticamente mai stati in quella campagna che giace abbandonata, magari è pure in un posto scomodo. E fate altri mestieri, il tempo è sempre poco e poi servono pure competenze. Insomma il bosco è alla deriva, non sapete che farvene e lo vedete come un costo, non come una risorsa. Ecco, "Forest sharing" nasce per rovesciare questa idea, per condividere, per non lasciarvi soli. Sono tantissimi i boschi non curati in Italia ed è pensando proprio a loro che è nata la piattaforma e una community che si prende cura della terra e degli alberi.
"Per avere un'idea della situazione: in Italia ci sono 11 milioni di ettari di boschi il 34% è nelle mani del pubblico, il 66% dei privati – spiega Yamuna Giambastiani, 31 anni, esperto di arboricoltura urbana e ingegneria naturalistica – il 55% di questi boschi sono lasciati andare". Forest sharing "adotta" quelle foreste, "noi preferiamo usare il verbo gestire" precisa Giambastiani, uno dei fondatori del progetto nato a Firenze, ma che opera su tutto il territorio nazionale e si sta espandendo in Croazia, Spagna e Grecia.
L'Europa l'ha segnalata come una delle migliori idee imprenditoriali green, Legambiente come il progetto più ecosostenibile: non riceve finanziamenti pubblici. Sette i soci che l'hanno creata, età media 34 anni, due donne e cinque uomini, tutti reduci da studi di agraria eccetto un esperto di tecnologie e uno di economia circolare. Francesca Giannetti, laureata in scienze forestali e assegnista di ricerca all'università di Firenze racconta: "Siamo andati online con il progetto lo scorso settembre, da uno spin-off dell'ateneo: Bluebiloba start up innovativa srl. La nostra missione non è soltanto gestire un bosco, ma far capire a chi ha un bosco che quel pezzo di terra non è legna da ardere e basta, ma un pezzo di natura per la collettività".
In pochi mesi di attività "Forest sharing" gestisce mille ettari in Toscana, una superficie grande come mille campi di calcio, ma in molti si sono fatti avanti per prendere contatti. Funziona così: la startup analizza da remoto, con la consulenza di tecnici, il tipo di terreno e di "soprassuolo" e in base alle caratteristiche e alle potenzialità elabora un progetto per la sua valorizzazione aggregando anche più proprietari per fare economie di scala. Esempio: un piano di gestione antincendio, o la produzione di legna (da ardere o per altri usi). "Forest Sharing" può decidere di coinvolgere imprese boschive per i tagli, enti che si occupano di educazione ambientale o associazioni di trekking interessate a utilizzare quelle aree.
Il vantaggio è che il proprietario del bosco a costo zero si assicura una gestione sostenibile, mentre la startup guadagna in percentuale da definire, sul taglio della legna (quando si procede per questa strada) o sul rastrellamento di fondi europei per lo sviluppo rurale ("L'Italia riesce a spendere solo una parte dei fondi per mancanza di progetti").
L'idea che sta alla base del servizio mescola i principi della sharing economy, la tecnologia applicata alla gestione del territorio e quella saggezza antica con cui fino ad un secolo fa contadini, monaci e abitanti della montagna monitoravano i boschi per prevenire dissesti idrogeologici. "In Toscana abbiamo 1 milione e 200mila ettari di bosco, di cui 880mila sono proprietà di privati, circa l'80%. Di questi solo il 15% ha una forma di gestione, il resto è in abbandono" spiega Giambastiani.
"In Europa non abbiamo più foreste primarie, cioè foreste in cui non ci sia stato l'intervento dell'uomo e questo significa che i boschi richiedono più cura – spiega Stefano Mancuso neurobiologo vegetale dello stesso ateneo fiorentino – Un altro dato su cui riflettere è che da quando esiste l'agricoltura sul pianeta abbiamo dimezzato gli alberi: 10mila anni fa ce ne erano seimila miliardi, oggi ce ne sono tremila miliardi, ma duemila miliardi sono stati tagliati negli ultimi due secoli". Un dato allarmante che rende necessario intervenire per tutelare il patrimonio arboreo.
Ma nella pratica, come interviene "Forest sharing"? "Ci hanno contatto diversi proprietari, uno per esempio, nel Chianti che possedeva asini e coltivava erbe aromatiche e aveva soltanto un piccolo bosco – spiegano i dottori forestali – Prima di tutto gli abbiamo mandato una cooperativa per ridurre il sottobosco e prevenire il rischio incendi, poi abbiamo coinvolto i proprietari dei terreni confinanti per creare un percorso di tipo educativo-ricreativo che fosse abbastanza lungo da poter essere proposto a scuole e famiglie". Altro esempio: sulla montagna pistoiese c'è il problema della robinia, una specie invasiva: "Noi siamo intervenuti utilizzando quel legno e facendo cataste da usare per le sistemazioni idrauliche forestali perfettamente ecocompatibili".
Naturalmente la start up fa ampio uso di droni, satelliti e tecnologia, guardano dall'alto i boschi per esaminarli e progettare il loro futuro: "Non pensiamo soltanto a come farli fruttare economicamente, ma anche in termini di servizi: "un bosco ben curato offre protezione alla città che sta a valle – riprende Giambastiani – ma quando la montagna era presidiata e c'era chi teneva pulite fossette, scoline e muretti a secco non si creavano gli allagamenti e i disastri di oggi. Non chiediamo che la gente torni a vivere in montagna, ma che conosca il proprio bosco e che lo gestisca almeno dalla città".
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