Sono passati due anni da una delle riforme più importanti per i consumatori europei: l’abolizione del geoblocking, quel fenomeno secondo il quale le aziende potevano discriminare i clienti in base alla loro provenienza, negando loro o facendo pagare di più prodotti e servizi forniti online, oppure negando l’accesso al sito e reindirizzandoli in automatico alla versione del loro Paese.
Con il regolamento entrato in vigore a fine 2018 tutto questo è diventato illegale. E a beneficiarne non sono stati solo i settori di elettrodomestici, elettronica e abbigliamento, ma anche il mercato della musica dal vivo, della cultura, del noleggio auto e dei parchi divertimenti, che oggi soffrono ma a causa delle restrizioni dovute alla pandemia. Per fare un esempio, il parco a tema francese Eurodisney era finito nel mirino della Commissione per aver venduto online biglietti più cari ai clienti che acquistavano dalla Germania e il Regno Unito.
A ricordare questo anniversario è il Centro europeo consumatori Italia che in questa vicenda gioca un ruolo importante: il centro, cofinanziato dalla Commissione europea, gestisce infatti le controversie transfrontaliere che coinvolgono il nostro Paese. La direttrice Maria Pisanò definisce il regolamento “una grande conquista” spiegando però un concetto che spesso viene travisato: “Il divieto di geoblocking non necessariamente implica una uniformità di prezzi in Europa.
I venditori sono liberi di prevedere prezzi differenziati sulle diverse interfacce online nazionali attraverso cui operano ma non possono impedire che il consumatore benefici del prezzo più conveniente anche se l’interfaccia utilizzata non è quella del Paese in cui risiede”. Per fare un esempio, collegandosi alla versione tedesca di un sito di e-commerce è possibile godere degli stessi prezzi applicati ai consumatori tedeschi. Ai quali vanno naturalmente applicati i costi di spedizione se il venditore spedisce all’estero (non è obbligato a farlo).
E un “tagliando” al regolamento contro il geoblocking l’ha fatto anche la Commissione europea. Nel documento emergono diverse luci ma anche alcune ombre.
- Già tre mesi dopo l’entrata in vigore delle norme la metà dei consumatori era al corrente di cosa fosse cambiato, anche se chiedeva qualche informazione in più;
- la metà delle controversie legate a questi tema si è risolta in modo amichevole in circa il 50% dei casi (ma guardando il bicchiere mezzo vuoto, si potrebbe anche dire che il 50% delle controversie va avanti e può terminare in sanzioni);
- In un’indagine condotta su quasi 10.000 siti di e-commerce la Commissione ha notato che le restrizioni imposte ai consumatori oltreconfine sono scese dal 26,9% al 14% dei casi. Significa che il fenomeno è stato ridotto ma non debellato. Tra le restrizioni più comuni, alcuni venditori impediscono ai clienti di registrarsi al sito se hanno un indirizzo postale estero.
La nuova sfida. Dal regolamento sono rimasti esclusi i prodotti autodiovisivi e tutti quelli coperti dal diritto d’autore. Film, musica, serie tv, videogiochi e sport continuano quindi a essere regolamentati a livello nazionale. Ma il regolamento, spiega Pisanò, “prevede una clausola di revisione e pertanto la Commissione dovrà ora decidere se inserire anche i settori esclusi”. Nel suo rapporto, la Commissione sottolinea i “potenziali benefici per tutti i consumatori europei, soprattutto per la maggiore scelta di contenuti che avrebbero”, ma conclude anche che “serviranno ulteriori valutazioni”.
Tuttavia il problema esiste ed è sufficiente un numero per comprenderne le dimensioni: in media un europeo ha accesso solo al 14% dei film disponibili online nella Ue a 27. Agli estremi opposti della classifica ci sono i greci, che possono attingere solo all’1,3% dei contenuti, e i tedeschi che possono godersi il 43% del catalogo disponibile in tutta Europa. La domanda è in aumento: il rapporto della Commissione spiega che il numero di consumatori che provano ad accedere a contenuti audiovisivi esteri è passato dal 5 al 9% tra il 2015 e il 2019. Ecco perché l’esecutivo dell’unione ha annunciato una fase di dialogo tra tutte le parti in causa per migliorare l’accesso a questi contenuti.Original Article
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