È da poco sbucato Soul, l'animazione natalizia Disney-Pixar che ha diviso equamente il pubblico tra gli osannanti e quelli che hanno tirato oggetti contro il televisore. Il guaio è che ci è andato di mezzo il jazz, che in Soul c'entra appena appena e serve da pretesto (quasi da querela) per lanciare la storiella new-age del limbo in cui finisce il protagonista, e poi il senso della vita e poi tutte quelle belle cose.
Avendo bisogno di risarcimenti (c'è anche chi si è adontato perché ci sarebbero troppe storie tv e cinema con il jazz dentro, mah), chi vuole può riparare su Netflix e scoprire, all'improvviso, di botto, che nella scorsa estate e nel totale silenzio è sbucato un doc che si chiama Birth of the Cool. Come sa ogni adepto, è il titolo di uno storico album di Miles Davis e il lavoro, diretto da Stanley Nelson, prende la storia del nero genio se mai ve n'è stato uno e ne fa un racconto trascinante, con dentro la vita vera e la volontà di farsi male dall'inizio alla fine, trovando intollerabile gran parte del mondo intorno.
La chiave è quella di chi racconta biografie pensando che siano pochissime le categorie umane – maschili – che ne producono di interessanti davvero. Jazzisti, scacchisti, pugili e non viene in mente altro. In Birth of the Cool basterebbe la prima parte, quando alla fine degli anni 40 il ventiduenne Miles arriva a Parigi e scopre che esiste il mondo: o almeno un mondo dove lui non è un nero strambo con la tromba ma un artista che incuriosisce la meglio Parigi del tempo. Per cui conosce, e anche parecchio, l'altrettanto ventiduenne Juliette Greco – che racconta l'incontro in una delle sue ultime, emozionanti interviste – mentre passano di lì Jean Paul Sartre o Pablo Picasso. E Miles si sente al centro dell'universo e dire che non era affatto un emarginato in cerca di riscatto black, ma il benestante figlio di benestante famiglia borghese dell'Illinois: il tutto finì col rendergli ancora più intollerabile il magma razzista in cui si trovava a vivere, al ritorno negli Usa una sera viene picchiato da un poliziotto con cui litiga per fumare una sigaretta fuori dal locale dove suonava e da lì inizia una sorta di discesa agli inferi.
50 anni di rock, 1972: Sua Altezza Miles Davis
Che è fatta sì di tutte le perdizioni possibili, donne meravigliose accanto ma tradimenti continui, la cocaina che diventa compagna fedelissima, le cure periodiche etc. Che farebbero di questo una storia abbastanza qualsiasi senza l'urgenza del genio che stava dentro la musica del mondo (jazz a quel punto è riduttivo) e la cambiava a ogni passo, tra svolte elettriche, devozioni ai maestri come Charlie Parker e ancora più in là nel tempo la fascinazione per il funk, per Prince, la voglia meravigliosa di prendere la tromba e improvvisare su Human Nature di Michael Jackson o Time After Time di Cindy Lauper. Il tutto avendo, di passata, realizzato monumenti al suono come Kind of Blue prima e Bitches Brew dopo. Ed è bello sentire raccontare queste cose, nel doc, da tipi come Herbie Hancock o Carlos Santana – mentre Miles è solo in audio in un'intervista-confessione nella quale racconta tutti i suoi demoni.
Commenti recenti