ROMA – Hai dichiarato di essere "amico" di Renzi? Sei stato sottosegretario all'Interno dei governi Letta e Renzi? Allora bisogna pensarci molto bene prima di nominarti procuratore di Lucca. Meglio riflettere ancora e tornare in commissione.
Riesplode, al Csm, la questione da sempre calda ma irrisolta, dei rapporti tra magistratura e politica. Riecco il caso di un magistrato – nella fattispecie Domenico Manzione – che è stato sottosegretario al ministero dell'Interno e ha dichiarato lui stesso in tv di essere in rapporti "di stima e amicizia con Renzi" e che da tempo ha presentato domanda per diventare il capo della procura di Lucca. Oggi è sostituto procuratore generale a Firenze. La quinta commissione per gli incarichi direttivi, per la seconda volta, gli dice di sì, ma quando la proposta arriva in plenum fioccano i no e i distinguo. Perché, appunto, esiste da sempre un problema irrisolto sull'appannamento dell'immagine di terzietà e indipendenza che deriva da un rapporto politico.
La discussione è lunga. Ma alla fine prevale con 8 voti a favore, 5 contrari, e ben 10 astensioni, la decisione di ritornare in commissione. Lui, Manzione, è a Firenze in udienza, quindi non può ascoltare il dibattito e per ora tace. Per la cronaca, da tempo giace in Parlamento la norma Bonafede che mette fine alla querelle: la toga che scende in politica non può tornare indietro. Anche se, in questo caso, Manzione non si è candidato, ma è solo entrato da tecnico al governo. Va detto che il legame tra la sua famiglia e il senatore di Rignano è stretto, tant'è che la sorella Antonella, da capo dei vigili urbani di Firenze, era diventata responsabile dell'ufficio legislativo di palazzo Chigi con Renzi premier e poi è stata scelta come consigliera di Stato.
Per Manzione il dibattito in plenum parte subito in discesa. Perché è proprio la relatrice del suo caso, Loredana Micciché di Magistratura indipendente, ad annunciare il passo indietro. "Non c'è nulla di male a essere amici di un politico – dice Micciché – ma la dichiarazione esplicita di essere stato nominato sottosegretario nel governo Letta per i rapporti di amicizia e stima con il senatore Renzi, nel corso di un'intervista rilasciata alla trasmissione Report, e diventata quindi di dominio pubblico, non mi consente di poter sostenere questa nomina. La dichiarazione, inevitabilmente, influisce sulla percezione di imparzialità e di indipendenza, requisiti fondamentali per il conferimento di un ufficio direttivo di un procuratore della Repubblica in Toscana". Micciché ricorda che proprio "il procuratore è il titolare dell'azione penale e il senatore Renzi è indiscutibilmente un esponente politico di grande rilievo in quella regione".
Un passo indietro dunque. Stavolta la commissione aveva proposto Manzione all'unanimità, dopo un primo rinvio dal plenum per le stesse ragioni il 9 settembre. Ma passati quattro mesi, evidentemente, la situazione non è cambiata. Stesso magistrato. Stessa carriera, un fuori ruolo che dura nove anni da quando lascia la procura di Alba, diventa sottosegretario, torna nei ranghi alla fine del 2018. Tant'è che Nino Di Matteo insiste sull'anomalia della situazione, da lui già messa in evidenza dopo l'estate, e dice che la commissione non ha tenuto in debito conto i suoi rilievi. Ovviamente quelli che riguardano l'effettiva possibilità, per chi ha rivestito un ruolo politico di indubbia importanza, di tornare a fare il capo di una procura.
È l'aspetto che mette in rilievo Sebastiano Ardita quando dice che "è sommamente inopportuno che il vice ministro dell'Interno rientri in magistratura direttamente con un ruolo di procuratore capo. Perché questo ricorda i paesi in cui non c'è tradizione democratica o distinzione di poteri". Ardita ricorda un episodio: "Quando ricevetti il vice primo ministro del Vietnam, Truong Hoa Bihn, un paio di anni fa, la prima cosa che mi disse è che eravamo colleghi, perché fino a qualche tempo prima era stato il presidente della Corte Suprema…".
Dunque il problema esiste. Ma la sinistra di Area, con Giuseppe Cascini e Ciccio Zaccaro, la valutano diversamente, stando al fatto che oggi una legge che vieti a Manzione di proporre la sua candidatura non c'è da nessuna parte, anche se sarebbe necessaria. Dice Cascini, che è contro il ritorno in commissione, che proprio "in commissione c'è stato un dibattito completo". Poi ricorda di aver proposto "già dieci anni fa la regola per cui un magistrato che si impegna politicamente non può rientrare in magistratura", ma cita anche, senza fare il nome, la vicenda attualissima del sostituto procuratore generale di Napoli Catello Maresca, "un magistrato che si candida nella città in cui opera", ma rispetto al quale non ci sono interventi perché, evidentemente, "ci sono sensibilità diverse sullo stesso tema mentre sarebbe necessaria coerenza".
Il collega di corrente Ciccio Zaccaro introduce un'altra questione seria quando dice che "il tema dell'incompatibilità di Manzione con la Toscana è molto ipocrita, perché lui sarebbe amico di Renzi, che è un politico nazionale, e dunque questo magistrato sarebbe incompatibile con tutta l'Italia. Inoltre Manzione lavora già in procura generale a Firenze, e dunque il suo lavoro può già oggi incrociarsi con indagini toscane su Renzi". Dunque, conclude Zaccaro, "esiste un problema generale".
E stavolta è un problema che vede la maggior parte dei consiglieri, di destra e di sinistra, sulla stessa posizione. Tant'è che Antonio D'Amato, toga di Magistratura indipendente, vede "il sospetto dell'appannamento della funzione per via di collegamenti con i poteri forti". Conferma le sue perplessità del 9 settembre, chiede "una necessaria verifica e un approfondimento per questi legami con la politica" perché, aggiunge, "dovete immaginarvi un giovane sostituto che si siede di fronte a un ex sottosegretario all'Interno… ". Dunque, "per evitare frutti malati dall'albero malato" bisogna tornare in commissione.
Come non bastasse Manzione sconta anche un'altra, e assai complicata, difficoltà. Era procuratore di Alba nel 2009, ma quella procura fu cancellata dalla revisione della geografia giudiziaria. Lui non fece subito una domanda per salvare comunque la sua posizione e subito dopo andò fuori ruolo. C'è anche qui un'anomalia? Spiega Giuseppe Marra, togato di Autonomia e indipendenza: "Sarebbe lunare decidere oggi che è illegittima una delibera di cinque anni addietro, cioè quella che ha riconosciuto il diritto di Manzione di diventare sostituto procuratore generale a Firenze, perché un tale potere può essere esercitato solo entro un ragionevole periodo di tempo". Oggi, secondo Marra, quel tempo è ormai scaduto.
Ma, legittimità a parte, la questione oggi è essenzialmente politica. E c'è anche chi è a favore di Manzione, proprio stando alla legge sull'incompatibilità magistratura-politica che non c'è. Dice il laico indicato da M5S Filippo Donati, costituzionalista a Firenze: "Esiste il principio di legalità, e se oggi la legge consente di avere incarichi politici e poi tornare indietro, non possiamo ignorarlo. Quindi il fatto di aver svolto un incarico e di avere una vicinanza politica non è sufficiente per non nominare Manzione" E ancora: "Perché no Manzione a Lucca se Renzi è un personaggio nazionale? Quindi Manzione non dovrebbe essere nominato in nessuna città italiana e francamente mi sembra un po' troppo". La pensa in modo simile Alberto Maria Benedetti, anche lui laico indicato da M5S , che parte da un dato incontestabile – "manca una disciplina su una rigorosa separazione poteri" – e quindi se Manzione fosse respinto saremmo di fronte a "un atto del tutto privo di legittimità, per il quale comunque bisognerebbe prima verificare le fonti e sentire Manzione, per una circostanza che comunque non può essere usata in un giudizio comparativo".
Finisce com'è finita. Il caso Manzione torna in commissione. Ma non è affatto chiaro, con questi presupposti, come possa concludersi la vicenda. Possono negargli il posto di procuratore, ma, in assenza di una legge, la scelta sarebbe comunque impugnabile.
Commenti recenti