Il governo del Bangladesh ha deciso il trasferimento, che a detta delle ong sarebbe coatto, di migliaia di profughi islamici Rohingya, giunti in precedenza nel Paese citato dopo essere fuggiti in massa dal Myanmar, "su un'isola remota". La minoranza emica in questione è da anni vittima di persecuzioni da parte delle autorità del Myanmar e cerca di conseguenza accoglienza in tutti gli Stati vicini all'ex Birmania, tra cui appunto il Bangladesh. I rifugiati oggetto del ricollocamento disposto in questi giorni da Dacca avevano finora occupato delle sovraffollate strutture di accoglienza allestite apposta per loro nei dintorni di Cox's Bazar, nel sudest della nazione musulmana.
Coinvolti nel trasferimento sull'isola incriminata sono inizialmente oltre 1600 Rohingya presenti in Bangladesh, ma l'obiettivo del governo di Dacca è ricollocare su quell'atollo, complessivamente, almeno 100mila rifugiati stanziati sul territorio bengalese.
Nel dettaglio, l'isola remota che ospiterà i migranti fuggiti dal Myanmar si chiama Bhasan Char, con una superficie di 52 km quadrati e ubicata nel golfo del Bengala, nel mezzo dell'Oceano indiano.
La particolarità di Bhasan Char è che, non di rado, è spazzata da cicloni e colpita da inondazioni, con conseguente rischio che le condizioni di vita dei Rohingya siano lì estremamente difficili.
Nel frattempo, più di 1600 rifugiati sono stati già ricollocati sull'atollo inospitale, dopo che le autorità di Dacca hanno provveduto al loro trasporto impiegando 7 navi. Le istituzioni bengalesi, contestualmente al trasferimento in pieno oceano di quelle migliaia di migranti, hanno rafforzato le misure di sicurezza intorno alla struttura ricettiva per clandestini da poco eretta a Bhasan Char, inviando sull'isola 300 poliziotti apposta per sorvegliare i Rohingya trasferiti recentemente nel mezzo del golfo del Bengala.
La designazione, da parte di Dacca, di Bhasan Char quale luogo preposto alla permanenza dei rifugiati presenti sul territorio bengalese si è accompagnato con un consistente investimento finanziario ad opera del Paese asiatico.
L'esecutivo del Bangladesh ha appunto stanziato 400 milioni di dollari nella costruzione di rifugi per profughi sull'atollo incriminato, nonché nella realizzazione, sempre a Bhasan Char, di una diga alta tre metri attorno alle medesime strutture ricettive.
Mentre le 7 navi citate provvedevano a trasferire nel golfo del Bengala le prima migliaia di Rohingya ricollocati, Shamsud Douza, uno dei portavoce della minoranza in fuga dall'ex Birmania, denunciava al mondo il pugno di ferro adottato da Dacca sul fronte migratorio.
Critiche alla decisione del Bangladesh di trasferire in mezzo all'oceano delle persone meritevoli di asilo politico sono state avanzate all'esecutivo bengalese anche dall'Onu.
Giovedì scorso, le Nazioni Unite, per bocca dei loro rappresentanti presso le istituzioni del Bangladesh, avevano infatti pubblicato un comunicato in cui si lamentavano di non essere state coinvolte nel processo di ricollocamento dei Rohingya stanziati in Bangladesh e di avere finora ricevuto poche informazioni da Dacca riguardo alla sorte dei rifugiati. Secondo il medesimo comunicato, non sarebbe stato inoltre permesso all'organizzazione internazionale di valutare in modo indipendente la sicurezza e l'abitabilità dell'isola. Tale documento raccomanda quindi alle autorità bengalesi di trasportare a Bhasan Char esclusivamente i profughi che abbiano esplicitamente acconsentito al rispettivo ricollocamento in pieno golfo del Bengala. I rifugiati, prosegue il testo, che dovessero liberamente accettare il loro trasferimento su quell'atollo dovrebbero anche, una volta lì, avere accesso all'istruzione e all'assistenza sanitaria, nonché potere abbandonare quel territorio inospitale se così desiderano.
A detta di organizzazioni umanitarie come Human Rights Watch e Amnesty International, le autorità di Dacca non avrebbero affatto soddisfatto le richieste dell'Onu, dato che molti rifugiati sarebbero stati di recente ricollocati a Bhasan Char senza potere esprimere il loro consenso, ossia in maniera coattiva. La versione delle ong circa il fatto che il trasferimento nell'oceano dei migranti sarebbe stato in gran parte imposto a questi ultimi dal governo bengalese è stata però immediatamente contestata da A.K. Abdul Momen, ministro degli Esteri del Bangladesh.
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