New York – Cinquemila miliardi di dollari di ricchezza finanziaria generata dal boom di Borsa, 22 milioni di posti di lavoro distrutti nella fase più drammatica della crisi: è l’ultima beffa dell’anno che si è appena concluso. Un’annata d’oro per Wall Street, trainata soprattutto dalla performance di Big Tech, consegna alla storia una narrazione “alternativa” rispetto al dramma della maggioranza degli americani. Nei dodici mesi che hanno visto l’ecatombe di 340.000 vittime della pandemia l’indice più rappresentativo del listino azionario (S&P500) ha chiuso con un guadagno del 16%, ma quello dei titoli tecnologici quotato al Nasdaq ha segnato un rialzo ancora più favoloso: +44%.
Una Borsa che chiude ai massimi storici, l'euforia della finanza, confermano l'altra emergenza del 2020: in America i vincitori della pandemia sono gli stessi che vincevano anche prima: l'alleanza fra Silicon Valley e Wall Street, i due settori che hanno fatto profitti record. Le diseguaglianze sono aumentate vistosamente, benché partissero già da livelli estremi. Questo mette Joe Biden di fronte a un problema aggiuntivo: come affrontare il tema sociale, avendo così poco "capitale politico" da spendere per riforme radicali, con un Congresso moderato e centrista.
Il 2020 è stato segnato da una politica di bilancio fortemente espansiva, ben quattro manovre di spesa pubblica per aiutare disoccupati, famiglie, imprese; il 2021 già si annuncia diverso perché i repubblicani una volta all’opposizione riscoprono l’austerity. A “discolpa” di Wall Street, il boom di Borsa viene considerato come un indicatore rivolto verso il futuro, un segnale di ottimismo sulla ripresa annunciata nel 2021, di cui si sono visti alcuni segnali anticipatori alla fine dell’anno scorso.
La rivalutazione del capitale azionario è ancora più formidabile se la si misura dal punto più basso, il tracollo di Borsa che segnò la fase peggiore della crisi il 23 marzo. Rispetto a quei livelli il rialzo dell’indice S&P500 (che include le 500 maggiori società quotate) è addirittura del 68%. Altri segnali dicono che dietro l’euforia finanziaria c’è anche una vitalità dell’economia reale.
È ai massimi la creazione di nuove imprese. La nascita di start-up ha segnato un’impennata formidabile, in coincidenza con la seconda ondata di contagi e lockdown. Qui i dati americani sono completi per il terzo trimestre dell’anno, concluso a fine settembre, quando già il paese stava scivolando verso un netto peggioramento di tutti gli indicatori sanitari e tornavano molte restrizioni alle attività: in quel periodo le creazioni di nuove aziende hanno registrato un crescita dell’82% rispetto allo stesso trimestre del 2019.
Oltre al fenomeno start-up, l’ondata di ottimismo sulla rinascita prossima ventura si estende alle nuove quotazioni in Borsa, gli Initial Public Offerings: il mercato azionario americano ha registrato un record di nuovi collocamenti, 454 dal primo gennaio a Natale, con una raccolta complessiva di capitale di rischio pari a 167 miliardi di dollari. È stato battuto largamente il record precedente che risaliva al 1999, l’anno dell’euforìa legata alla New Economy, la prima rivoluzione di Internet.
Quel boom di 21 anni fa fu però seguito dal crac del Nasdaq, dall’euforìa si passò al crollo in soli tre mesi (marzo 2000). Questa volta sono diverse le condizioni della politica economica, in particolare la strategia monetaria della banca centrale che è di una “generosità” senza precedenti. Ma una cosa non è cambiata: al successo dei capitali investiti in Borsa corrisponde un aumento dell’area della povertà.
Proprio le due zone-simbolo della creazione di ricchezza, la Silicon Valley attorno a San Francisco, e New York City, vedono anche la massima concentrazione di homeless. Sono le due Americhe governate localmente dalla sinistra, e questo interpella Biden: dal 20 gennaio in poi il nuovo presidente eredita un paesaggio di diseguaglianze che è antecedente al quadriennio di Donald Trump e che richiede nuove terapie.
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