CITTÀ DEL VATICANO. Ai cristiani il Natale, inizio dell'era cristiana della Salvezza, è stato rubato già alla fine degli anni Quaranta, quando, con l'inizio dell'era mercantile di Babbo Natale, il 25 dicembre si è trasformato in un potpourri di celebrazioni culinarie, alcoliche, turistiche e altre amenità di scarso contenuto religioso e di smisurato successo consumistico. Su questo apparente tenebroso orizzonte, la Chiesa Cattolica ha la fortuna di essere guidata da un pastore che, per storia personale, è un esperto di navigazione in acque agitate. E può darsi che questo imprevisto silenzio calato sulla festa più celebrata dai cattolici li aiuterà a comprendere il nuovo che nella loro Chiesa si fa avanti. Perché un fatto è certo: nella storia del cattolicesimo, si parlerà di un tempo prima di Bergoglio e di uno dopo Bergoglio, quando vescovi e cardinali torneranno ad essere scelti (e a comportarsi) in altro modo e le comunità territoriali, religiosi e religiose, dovranno inventare nuove forme di presenza e di organizzazione.
Per riformare la Chiesa occorre riformare l'episcopato. Magari, a furor di popolo. Dopo che in Cile nel 2018 l'intero episcopato (molti di loro non sono ancora stati riconfermati) è stato sospeso a causa della generale protesta dei cattolici del Paese, in Spagna i cattolici hanno scoperto, via stampa, che dal 2016 al 2019 il cardinale di Madrid e altri confratelli avevano prosciugato le casse e i beni delle 76 fondazioni a cui fa capo il patrimonio della Chiesa e, diffidando dell'apparato clericale, si sono rivolti alla magistratura civile che sta indagando.
Da che parte sta papa Francesco? A quanto pare, da quella dei fedeli: non ha mosso un dito a difesa del cardinale e dei vescovi e, bypassando nunziatura e conferenza episcopale spagnola, ha mandato ispettori e funzionari dal Vaticano. La novità bergogliana dei fermenti di oggi è che nascono, ed agiscono, in appoggio al Papa. Lo precedono e il Papa, spesso informato male o tardi, li raggiunge. Così sta avvenendo in Polonia, dove ogni mese almeno un paio di teste mitrate cadono, e nei Paesi Baschi, dove al grido "la Chiesa deve cambiare" i cattolici accusano i vescovi della regione, anche a causa della loro neutralità nei confronti dell'Eta. E la nomina dell'afroamericano Wilton Gregory, prima ad arcivescovo di Washington (diocesi delle mascalzonate dell'ex cardinale McCarrick) ora a membro autorevole del collegio cardinalizio, sarebbe stata possibile senza l'impetuoso revival degli afrocattolici a stelle e strisce?
In Italia, dove se ne parla poco, la lista dei vescovi mandati anticipatamente a spasso si allunga: ultimo il vescovo di Ascoli Piceno, prima coperto da una valanga di proteste indirizzate al Papa da preti e fedeli, e poi "dimissionato" e mandato a fare esercizi spirituali in un monastero cistercense in Marocco. E non è un caso isolato. Sempre nelle Marche, le lettere e le petizioni che chiedono che le malversazioni e il disinteresse pastorale di alcuni vescovi, anche di recente nomina, siano investigati da Roma, fioriscono sulla stampa locale. Restando nella Penisola, sono note le richieste che i cattolici di Torino, di Caserta e ora di Napoli hanno inviato al pavido (e spesso correo) nunzio apostolico in Italia, lo svizzero Emil Paul Tscherrig, per poter esprimere la loro opinione sulla scelta del loro futuro pastore. La Chiesa di Napoli ha bisogno, dopo gli ultimi due arcivescovi che l'hanno avvilita e pure spolpata, di un pastore che la consoli.
Le "improvvisate" di papa Francesco per certe nomine vescovili (soprattutto in Italia) appaiono talvolta infelici. Ma a Bologna, seguendo l'onda popolare, ha fatto centro con la scelta di Matteo Zuppi, un vescovo che "il Popolo di Dio" vorrebbe anche presidente della Cei. Uno dei pilastri della riforma bergogliana (con il Vaticano II) dice che il "Popolo di Dio" è prioritario rispetto alla costituzione gerarchica della Chiesa, perché prima del sacerdozio ministeriale viene il battesimo uguale per tutti. Per Napoli, e i napoletani, nonostante schermature e turlupinature finto-culturali, popolari e politiche che gli sono state propinate, il Papa ha proceduto con i piedi di piombo: finora ha rigettato i nomi proposti, una decina. Per presentare quello giusto, don Mimmo Battaglia, il cardinale Marc Ouellet, prefetto della congregazione dei vescovi, è diventato un habitué delle udienze pontificie: due-tre volte alla settimana, prima aveva diritto a un'udienza al mese.
Altro segno di novità è l'irrompere dei laici nelle parrocchie che il calo delle vocazioni e l'invecchiamento dei sacerdoti stanno declericalizzando. Da latino-americano, papa Francesco conosce bene le prassi e le strutture pastorali del suo continente. Con il Sinodo dell'Amazzonia ha presentato splendide figure di donne (alcune vicario generale nella loro diocesi) che hanno dato anima e voce alle loro Chiese. Non si tratta di clericalizzare laici e laiche. Si tratta di altro. Una petizione di 130 mila cattoliche in Germania ha chiesto alla segreteria del sinodo: se i chierici non costituiscono nemmeno lo 0,1 per cento dei fedeli cattolici di questo Paese, perché rappresentano il 46 per cento dell'assemblea sinodale? Ed ora i vescovi stanno correndo ai ripari. In Francia, la Conferenza dei battezzati e delle battezzate considerata per un decennio la croce dei vescovi, è diventata progressivamente un loro prezioso interlocutore, saggio ed ascoltato. Così in Spagna, dove a Madrid a metà febbraio si è tenuto un congresso dei laici dedicato alla "Chiesa in uscita" ed ora gli spagnoli pensano a un sinodo globale dedicato alle donne da tenersi a Roma nel 2022.
E in Italia? Almeno 40 parrocchie sono state affidate a suore, altre sono in via di affidamento a laici e laiche di sicura fede e provata stima da parte delle loro comunità. Resta da capire perché i vescovi italiani (pochi) più attenti alle istanze bergogliane siano costretti a metterle in pratica con circospezione. E i religiosi? In Italia 28 conventi ogni mese chiudono, per un totale di circa 335 all'anno. Se tale dato rimanesse costante nel 2046 sarebbero estinti. Nel 2019 in Italia seimila scuole cattoliche hanno chiuso. Altre seguiranno. Molto è dovuto all'invecchiamento e alla scarsità di vocazioni. Ma è da metà anni Ottanta che i religiosi abbandonano opere, case e territori della loro tradizione per spingersi verso periferie e frontiere lontane. Persino le loro opere testimonial, le università romane ed europee, sono state lasciate deperire, tanto da apparire, nell'attuale orizzonte della cultura cattolica, scuolette di poco conto. Dove vanno? Basta scorrere le cronache dei drammi ecologici, culturali, pastorali di Africa, Asia e America Latina. Vanno a piantare e irrigare semi che altri saranno chiamati a raccogliere. Un esempio? Da metà anni Ottanta i gesuiti (in Italia adesso mantengono solo tre scuole: ne avevano 13), sono rientrati nella Cina continentale e collaborano nelle università statali e in quelli che furono i seminari della "Chiesa patriottica". Sembra che per il momento i frutti li raccolga solo il governo cinese. Per il momento.
Sul Venerdì del 24 dicembre 2020
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