Catanzaro piaceva moltissimo ad Alberto Savinio, il grande pittore e scrittore. «È città rupestre e a pan di zucchero, come Orvieto in Umbria e Avranches in Normandia…» ne scrive, nonostante abbia da anni ritrosia a parlare di città, dopo un articolo su Napoli che gli è costato – causa incauto riferimento a moglie di prefetto, correndo l’anno XVII dell’Era Fascista – l’interdizione dal giornalismo, e, per la rivista, la chiusura (era Omnibus di Leo Longanesi, genio anticonformista ma peraltro abbastanza schierato; si vantava per esempio di aver dato lui a Arturo Toscanini – che si era rifiutato, in un concerto a Bologna, di suonare Giovinezza – un famoso schiaffo; il maestro se ne andò in America). Ma è ormai il 1948 quando, in compagnia di un politico in viaggio elettorale (prenderà il 2 per cento), Savinio approda a Catanzaro; il suo Diario calabrese (ricostruito dallo storico Vittorio Cappelli per Rubbettino) è pieno di amenità.
Racconta di Alarico, che era venuto a morire nel 410 in Calabria, bramando l’Italia prima ancora di conoscerla, «come Giaufredo Rudel amò prima di vederla Melisanda di Tripoli». Calabresi zoomorfi a testa di pecora (come ama disegnare gli umani Savinio) sanno che l’ultimo dei briganti calabresi (“patrioti”) si chiamava Svampa; i nonni hanno assistito alla sua impiccagione. Campanella, il filosofo calabro che raggirò nel 1601 i torturatori del Sant’Uffizio fingendosi pazzo in 40 ore di corda e cavalletto, è infatti definito «robusto», e se ne cita il verso: «Quanto ho mangiato! E del digiun pur moro» – «questo nome mi giunge nuovo», confessa l’autista a testa di montone.
E se Savinio accenna a «denonzie secrete in materia di sanità», si riferisce a Vicenza (per «mia moglie non vuole trasferirsi a Catanzaro», la recente frase virale con cui è stata rifiutata una nomina a commissario della sanità calabra, si veda il programma di Crozza del 16 novembre scorso).
Catanzaro all’inizio non piacque a Vivant Denon, il creatore del Louvre: ma c’è un motivo, ci arrivò, nel 1778, dal lato del mare. La veduta «gradevolissima», si corresse, è quella dalla Porta di terra, ed è da quello scorcio che è ritratta nel più fastosamente illustrato dei viaggi d’autore del Settecento, il Voyage pittoresque nell’Italia del Sud. Squisito incisore, Denon era abituato a disegnare in qualunque condizione; sotto l’artiglieria della battaglia di Eylau, Napoleone stesso era accorso a trascinarlo via. Nel sud Italia, Denon si era portato una schiera di pittori, ed è un’incisione di Louis Châtelet che mostra il mare sullo sfondo e Catanzaro «in cima a una montagna, circondata d’altre» – oggi collegate dall’ardita campata di un ponte Morandi.
Sul Venerdì del 24 dicembre 2020
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