La redazione vuota e le videoriunioni
di Piero Colaprico
Di un anno come questo ciascuno conserverà una sua memoria. E sogno: se nel 2060 qualcuno dovesse chiedermi com'era stato, magari partirei raccontando della mia redazione vuota e con le lampade da scrivania spente. Resta incredulo chi come me ha cominciato con la macchina per scrivere Olivetti 22, fogli di carta e gettone telefonico per dettare "il pezzo". Assenza, toni bassi, videoriunioni: questo è il futuro? Ma senza le scarpe, la salute e un po' di cuore il mestiere del giornalista, Covid a parte, s'ammala. Cioè, si diventa persino malinconici. E non siamo esattamente poeti.
La colonna sonora della quotidianità
di Carlo Annovazzi
Per mesi ho ascoltato il respiro lento della città da una parte e gli annunci della stazione Garibaldi dall'altra. Non c'era altro suono. Le ambulanze, certo, ma quello era ahinoi un flusso continuo che ti trapassava l'anima e la mente. Il silenzio di Milano in marzo, aprile, maggio e poi di nuovo al calare del giorno in ottobre e novembre, ecco quello che non scorderò mai. Perché questa nostra città che non dormiva mai ha azzerato ogni suo rumore e non sarà mai più così. Un fascino straniante che ci ha fatto capire quanto la colonna sonora della quotidianità sia parte di noi. Senza, Milano non è più la stessa.
La videochiamata non vale una carezza
di Carlo Arrigo
Il 2020 è stato l'anno della solitudine. Un po' per tutti, ma soprattutto per gli anziani che vivono nelle case di riposo e che hanno perso la cosa più preziosa che avevano: il contatto con i famigliari, la gioia di vivere, almeno qualche ora alla settimana, con figli e nipoti a portata di abbraccio e di sorriso. Molti non ce l'hanno fatta e se ne sono andati, ma molti altri sono ancora nelle loro camere e, nonostante le cure e la vicinanza del personale, hanno un velo di tristezza negli occhi. Perché una videochiamata non può sostituire una carezza. L'augurio per tutti è che questa solitudine finisca con il 2020.
Troppi mesi vissuti come dentro un film
di Simone Bianchin
Il 2020 è stato per nove dei suoi mesi l'anno di internet come pavimento sul quale si consuma la vita. Ha trasformato la realtà in qualcosa che sembra artificiale. Una vita come da film come Ready Player One, Nirvana, Matrix, Strange Days. L'effetto amplificato delle parole scritte è arrivato talvolta come un proiettile, quello della percezione di un peso freddo, con possibili conseguenze anche gravose che possono provocare paura o sgomento. Quando ci si parla di persona tutto è come deve essere, più semplice, meno grave e pesante. Il 2021 arriva con la speranza che il vaccino possa cancellare queste sensazioni.
Margherite e sigarette per Gianni Mura
di Luigi Bolognini
Un funerale più tardi arriva meglio è. Stavolta, dannazione, l'avremmo voluto, ma niente. Tra gli infiniti magoni di quest'anno c'è non aver potuto salutare davvero Gianni Mura, morto in fretta e furia il 21 marzo (maledetta primavera) e in fretta e furia sepolto a Lambrate. Si rimedia come si può. Rileggendo i suoi tantissimi e clamorosi articoli di sport, cibo, cultura in tutti i sensi. E andando a portare sulla tomba le amate margherite, qualcuno pure le sigarette. Il giardino resta aperto per chi l'ha amato.
Quel pane condiviso tra clochard e piccioni
di Marco Bracconi
Il carretto dei gelati sarebbe tornato: lo sapevamo. Ma i giardini di marzo, pur riempiendosi di nuovi colori, restavano sprangati.
All'uscita di una scuola chiusa un clochard sbocconcellava pane per i piccioni. Un gesto gratuito, da una specie all'altra, come un ponte di pace tra l'uomo e la natura in mezzo alla guerra che inevitabilmente stavamo combattendo. All'improvviso, il senza dimora mi guardò. E io, in quella Milano incredula e deserta, avevo appena visto l'atto di forza di un essere umano inconsapevole, ma niente affatto neutrale. Il futuro è sempre degli ultimi.
Salviamo il bello di guardarsi negli occhi
di Ilaria Carra
Guardarsi negli occhi, sperare che parlino. Come bisogno: ma basteranno? La mascherina che da quasi un anno ci copre mezza faccia ci costringe a osservare di più e meglio gli sguardi. Sconosciuti o meno, stessi blocchi di partenza. Questa la novità, una nuova alfabetizzazione silenziosa: nell'ultimo dramma collettivo di proporzioni egualitaristiche è forse uno dei (pochi) aspetti da tenere di questo 2020. Siamo obbligati a una maggiore attenzione verso l'altro, a una comunicazione più riflessiva quando salteranno le "museruole". Lasciamolo agli occhi questo periodo, finora ci hanno tenuto in piedi.
Plumbea e profonda l'angoscia nell'anima
di Valeria Cerabolini
Quante modulazioni può avere il silenzio? E in quanti modi possiamo ascoltarlo? In quelle sere di marzo, quando è scattato il primo lockdown, il silenzio si è fatto plumbeo, profondo, totale. E con la sua pesantezza entrava nell'animo, per trascinarlo in paure e angosce sconosciute, in un sentimento di vulnerabilità di fronte ai numeri di malati e morti in perenne crescita. Poi, anche il silenzio si lasciava squarciare, da echi lontani, a poco a poco sempre più udibili, sempre più nelle vicinanze. E le sirene delle ambulanze dirette al San Matteo ferivano il cuore.
Poi, di nuovo silenzio. Un silenzio che faceva paura.
I nomi e le storie dei vicini di casa
di Paola Coppola
Ma quest'anno a Natale suoneremo sui balconi? Il desiderio di una bambina, mia figlia di quattro anni, mi riporta ai mesi più duri della pandemia. Fuori solo il silenzio rotto dalle ambulanze, dentro il tentativo di trasformare in gioco tutto quello che stava stravolgendo le nostre vite. E forse qualcosa di buono resterà di questo anno tragico, se dopo i pic nic sul balcone, la tromba e la torcia sparate nel buio della sera, adesso conosco i nomi dei miei vicini e un po' delle loro storie e in quel tempo così dilatato le serate chiusi in casa sono state anche un modo per ritrovarsi.
La trincea sanitaria scocca a mezzanotte
diAlessandra Corica
Era la mezzanotte tra il 20 e il 21 febbraio. È a quell'ora che le indiscrezioni sono diventate certezze, e su Repubblica.it ho firmato l'articolo sulla diagnosi, a Codogno, del paziente 1, il primo caso ufficiale di Sars-Cov-2 in Lombardia. Ansia, preoccupazione, dubbi: non si sapeva ancora chi fosse l'ammalato o se fosse collegato all'epidemia cinese. Soprattutto, non si sapeva che quella notizia sarebbe stata lo spartiacque, e che già 24 ore dopo i numeri di tamponi, positività e ricoveri avrebbero iniziato a scandire tutta la nostra vita. La notte che ha cambiato tutto.
La preghiera solitaria sul tetto del Duomo
di Zita Dazzi
Un uomo semplice dal cuore fantasioso come quello dei bambini, che nei giorni più duri della pandemia, salì sul tetto del Duomo, a pregare a braccia aperte la Madonnina sulla guglia maggiore della cattedrale. L'arcivescovo Mario Delpini tre giorni dopo, l'11 marzo, mi accolse in Curia, da solo, venendo lui ad aprire al portone della sua casa, dove era isolato, mentre tanti suoi stretti collaboratori erano già stati contagiati. Ricordo i suoi occhi mentre mi raccontava la forza dei simboli nei momenti più duri. Quanto ce n'è bisogno anche oggi.
Il pianto dei neonati nella città deserta
di Tiziana De Giorgio
Il pianto dei bambini che continuano a nascere. Dodici marzo, mi muovo in una città spettrale, con un senso di angoscia che mi prende lo stomaco. Alla Mangiagalli ha partorito la prima mamma positiva al Covid e vorrei parlarle. È sigillata in una stanza senza fiocchi né fiori, non può nemmeno cullare sua figlia, potrò avvicinarmi a lei solo al telefono. I medici però mi fanno entrare nel reparto dove il virus non c'è. Si spalanca la porta ed è un attimo: quel pianto mi travolge. Mi accorgo che non riesco a trattenere le lacrime, che non me ne vergogno. E che per la prima volta, sotto quella mascherina umida, sorrido.
Aule e uffici chiusi nel Palazzo che resiste
di Sandro De Riccardis
A marzo a Palazzo di giustizia tutto sembrava crollare. Il Covid colpiva magistrati e funzionari, i processi si fermavano, le aule si svuotavano e perfino la sala stampa, per la prima volta, è stata chiusa. Nei corridoi sono comparse le tute gialle degli addetti alla sanificazione, soldati a caccia di un nemico invisibile. Ma non era ancora finita. Nella precaria resistenza della giustizia, un incendio al settimo piano ha divorato gli archivi e reso inagibili interi uffici. Ma la giustizia non si è mai fermata. Ha rallentato, con le ferite ancora visibili a Palazzo di giustizia, ma è andata avanti.
Quelle ore ritrovate da investire al meglio
di Luca De Vito
Nell'anno terribile abbiamo perso molto, qualcuno tutto. Abbiamo forse ritrovato del tempo e un'idea di come usarlo meglio: non siamo più dei Bianconigli. Basta weekend ai centri commerciali, ore divorate dall'ansia da prestazione, serate a bere spritz caro e fatto male. Stop alle macchinette del caffè, all'andare sempre di fretta, al vuoto dell'ufficio, al comprare e consumare come fosse un dovere. Alle code per l'iPhone, ai figli dati alle babysitter, alle visite inutili al pronto soccorso. Un tempo ritrovato e da investire – sia detto senza retorica – in letture, giochi, piante, amore, matematica, musica e fantasia.
Quei fiori posati sulla croce senza nome
di Alessia Gallione
A volte sono i dettagli che ti spezzano il cuore. Per me è stato un mazzo di fiori ingiallito dal sole davanti alla prima croce bianca piantata al Campo 87 del cimitero Maggiore. È lì che, in piena emergenza, il Comune ha sepolto chi è morto da solo in una Rsa o in letto di ospedale. Ad aprile, in quello spiazzo di terra brulla e trincee appena scavate, c'erano 61 tombe. E c'erano quei fiori, lasciati dagli addetti del cimitero. Gente che ti immagini impermeabile al dolore e abituata alla morte. Ma che, invece, con quel gesto di pietà hanno restituito un po' di umanità a un tempo di addii che il Covid ha privato persino del conforto di un saluto.
I numeri quotidiani sono nomi e persone
di Oriana Liso
Una conta quotidiana, numeri dopo numeri che nascondono nomi dopo nomi. Il primo bollettino con un morto ufficiale per Covid che ho pubblicato sul sito di Repubblica.Milano è del 22 febbraio. Giovanna Carminati aveva 77 anni, era di Casalpusterlengo: quel giorno ho titolato e pubblicato quella notizia con angoscia, non sapevo che nelle settimane successive sarei arrivata a contarne nei titoli oltre 500 al giorno. Si lavora di corsa, il tempo è sempre poco: ma ogni giorno scrivere quel numero è un dolore. Perché sono nomi, sono persone.
Il Natale di Elisabetta e delle sue bambine
di Massimo Lorello
Chissà come sarà il Natale delle oltre centomila persone che in Lombardia hanno perso il lavoro a causa del coronavirus. Chissà come sarà il Natale di Elisabetta e delle sue due bambine di 5 e 7 anni. Ogni sabato vanno a Giambellino per ritirare il pacco alimentare di Emergency. "Lavoravo in un negozio", mi ha raccontato Elisabetta. "Ha chiuso quando è scattato il lockdown. Finora non ho trovato altri lavori e la casa mi costa 600 euro al mese. Ma continuo a darmi da fare, non perderò mai la speranza". Già, la speranza. L'unico regalo che può concedersi a Natale.
Il Requiem di Verdi e la Nona di Beethoven
di Andrea Montanari
La Messa da Requiem di Giuseppe Verdi eseguita il 4 settembre dall'orchestra e il coro della Scala nel Duomo per le vittime del Covid 19 è stato uno dei momenti più emozionanti dell'anno. Davanti al presidente della Repubblica, Sergio Matterella e a un pubblico ristretto. Un omaggio, ma anche un segno di quanto la cultura e in particolare la musica siano un valore importante e insostituibile. Soprattutto in momenti difficili come quelli vissuti quest'anno. Per questo motivo, associo a quella sera la Nona di Beethoven eseguita in teatro il 12 settembre per i medici. Come simbolo di rinascita.
Gli eroi a mani nude e l'innocenza perduta
di Giuseppina Piano
A mani nude. Se le bare di Bergamo sui camion militari resteranno per sempre l'immagine della tragedia lombarda, quelle mani sulle barelle dei primi malati portati in ambulanza saranno la denuncia della colpa. La mattina del 21 febbraio da Codogno, da quel Pronto soccorso che aveva inghiottito l'innocenza lombarda insieme al paziente 1, iniziarono ad arrivare in redazione foto che non potremo più dimenticare: gli eroi del 2020 non avevano ancora scafandri o guanti, protezioni e procedure, piani antipandemia. Erano stati mandati al fronte senza niente.
Quel muro di gomma da positivo a negativo
di Massimo Pisa
Positive. Femminile plurale. Moglie e poi figlia. "Positivo". Singolare maschile. Io. Il virus entra in casa senza permesso. E quando smette di essere un bollettino numerico al tg, o il racconto vocale di un amico su Whatsapp, ti misura con le tue angosce e le limitazioni di un sistema che non funziona. L'isolamento casalingo e la spesa a domicilio diventano la regola, il termometro e il saturimetro ti danno i parametri di vita e salute, il calvario per fare i tamponi e uscire dal tunnel sono il muro di gomma quotidiano. Fino a quel "negativi". Tutti e tre. Sani. Vivi.
Le regole applicate senza umanità
di Matteo Pucciarelli
Eravamo a inizio aprile, lockdown pieno, nella grande farmacia Boots sotto casa si presentò un signore disperato: la suocera non riusciva più a respirare, aveva bisogno di una bombola di ossigeno. Disse che arrivava da Crema, aveva quindi sconfinato. "Non ne trovo più da nessuna parte, per favore aiutatemi", quasi supplicò. La sua interlocutrice non si mosse a compassione; si esibì in una dura reprimenda perché con il suo arrivo in farmacia il signore stava mettendo a rischio tutti quanti. Così lui se ne andò a testa bassa senza bombola. Senza umanità ed empatia le regole che senso hanno?
Quella presenza che dà coraggio
di Mauro Rancati
Non male questi lockdown , grandi volate in bici da corsa sulle strade coloniche nelle mie campagne deserte, la concentrazione totale davanti al piccolo schermo del portatile in smart working senza il chiasso della redazione, l'eliminazione dei rapporti superflui impossibili per legge, gli sconti incredibili sui vestiti nei negozi quando hanno riaperto, le partite ad agosto, i parcheggi in cui si trovava posto subito, nell'aria il sentire la presenza dello spirito di mia madre, morta di Covid il 25 febbraio, liberata dal virus purificatore di una vita già vissuta, ad aleggiare sopra di me e a dirmi: "Dai…".
Le Quattro Stagioni per ritrovare la bellezza
di Paola Zonca
Mezzanotte tra il 15 e il 16 giugno. La musica classica è rimasta in silenzio quattro mesi per il lockdown. I Pomeriggi Musicali sono stati i primi a ripartire con un concerto dal vivo. Per me, come per i pochi operatori sanitari ammessi al Dal Verme, è stata un'emozione sentire ancora risuonare le note delle Quattro Stagioni di Vivaldi, eseguite e dirette dal violinista Stefano Montanari. La sala semivuota (pubblico distanziato: una fila sì e una no, due sedie libere tra uno spettatore e l'altro) faceva un po' malinconia. Ma era importante compiere un gesto simbolico per dire che senza musica live siamo tutti orfani della bellezza.
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