Quando, cinquant’anni fa, uscì nelle sale italiane Lo chiamavano Trinità…, il western all’italiana aveva passato la sua fase d’oro e stava agonizzando. Il film diretto da E. B. Clucher alias Enzo Barboni (che di molti di quei film, da Django a I crudeli, era stato direttore della fotografia) lo tenne in vita ancora per qualche anno inaugurando un filone comico e incruento. E secondo alcuni, gli diede il colpo di grazia: dopo le sberle di Bud Spencer e Terence Hill, era difficile prenderlo ancora sul serio.
In realtà il genere aveva da sempre una componente parodistica e smitizzante rispetto al western americano e alcuni osservatori paragonarono subito i personaggi di Leone a quelli, altrettanto cinici e ambivalenti, della commedia all’italiana. Trinità, semmai, allargò il pubblico, fino alle sale parrocchiali (i film di Spencer & Hill furono il loro canto del cigno) e ai bambini. I protagonisti del film sono solo in apparenza delinquenti privi di scrupoli, ma è chiaro che si riscatteranno difendendo i deboli. Sparisce il sangue, spariscono ovviamente i riferimenti politici di moda nella fase precedente, e la storia procede in maniera elementare piazzando periodicamente scazzottate che causavano maree di ululati mai più sentite in un cinema.
I due protagonisti erano al quarto film insieme, ed è curioso vedere come un versante farsesco si faccia sempre più strada, da Dio perdona… io no!, primo sorprendente incasso del 1968, a La collina degli stivali. E sulla genesi di Trinità, come sempre, sono fioriti miti e leggende: il regista che vaga con la sceneggiatura rifiutata dai produttori e attori, anzi la storia che era di un altro e gli viene soffiata; il film che era in origine serio e diventa comico per caso, anzi invece no, tanto che il copione era scritto in romanesco e poi tradotto in italiano.
Il critico Alberto Pezzotta ha parlato, per Lo chiamavano Trinità…, di 'carnevalesco', riferendosi al ribaltamento dei valori (in questo caso quelli del West, ma non solo), a un ritorno alle pulsioni primarie (cibo più che sesso: la prima scena è una mangiata di pasta e fagioli lunga quasi quanto l’inizio di C’era una volta il West), alla esibita corporeità. Ma una corporeità per lo più infantile, che è il suo segreto. Spencer e Hill sono l’ultimo esempio di pura regressione infantile, eredi più degli Ercole e Maciste che dei western.
Dopo un inevitabile seguito, …Continuavano a chiamarlo Trinità (terzo film per numero di spettatori nella storia del nostro cinema, poco dopo Ultimo tango a Parigi e Per un pugno di dollari), gli sganassoni della coppia si sposteranno in ambiente contemporaneo, seguiti da cloni e imitazioni. In anni di politica e poi di terrorismo, di liberazione sessuale e poi di cinema in crisi che diventava a luci rosse, furono l’ultimo baluardo di un’ingenuità a oltranza, di un pubblico che cercava di restare bambino. Questa sorta di candore postumo è durato nel tempo (le repliche televisive di Lo chiamavano Trinità… sono sempre una garanzia di successo, come quelle di Pretty Woman) e nello spazio. Il culto dei film di Spencer e Hill, western o meno, è vivo in maniera sorprendente in tutto il mondo. E forse, azzardiamo, più che nei bambini di oggi, in coloro che erano bambini trenta o quarant’anni fa.Original Article
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