TORINO – C'è stato un tempo in cui Prandelli era il maestro e Pirlo l'allievo, un tempo finito in un'estate brasiliana del 2014, quando Cesare smise di essere ct della Nazionale. Tempo qualche mese, anche Andrea smise di esserne il regista, ma nel corso dei quattro anni insieme i due, entrambi originari della provincia di Brescia, consolidarono un rapporto molto stretto, di reciproca approvazione. Martedì sera saranno avversari allo Stadium, dove la Juventus ospiterà la Fiorentina: è la prima volta che Pirlo si troverà ad affrontare un allenatore da cui è stato allenato. La seconda sarà il 17 a gennaio a San Siro quando sfiderà Conte, che è uno dei suoi principali riferimenti tattici.
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di
Emanuele Gamba
Prandelli ha perso da tempo il tocco: si può dire che dopo la traumatica fine dell'esperienza azzurra (si dimise dopo essere uscito al primo turno di un Mondiale cui ci eravamo presentati da vice-campioni d'Europa) non sia più stato lui. Di sicuro non è più stato all'altezza dei suoi anni più belli, dei suoi giorni migliori. In serie A non vince una partita dal 17 marzo 2019, quando guidava il Genoa e rifilò un clamoroso 2-0 alla Juventus, a quell'epoca allenata ancora da Allegri e in quel campionato ancora imbattuta, fino a quel momento: da allora Prandelli ha collezionato otto pareggi e otto sconfitte, arrancando tanto in rossoblù quanto alla Fiorentina, con la quale ha finora racimolato appena tre punti in sei gare. Delle ultima trenta partite ne ha vinte appena quattro: difficile pensare che possa chiedere a Pirlo un'inversione di tendenza.
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Si diceva del rapporto tra i due: è stato proprio Prandelli a firmare l'introduzione dell'autobiografia di Pirlo, Penso quindi gioco, scritta assieme al giornalista Alessandro Alciato e pubblicata da Mondadori, rivelando di averlo scoperto da ragazzino, quando uno allenava gli Allievi dell'Atalanta e l'altro si stava facendo conoscere nel vivaio del Brescia. "Sono rimasto senza parole", racconta di quando lo vide per la prima volta in una partita tra la Dea e le Rondinelle, categoria Giovanissimi. "Avevo la sensazione che tutti gli spettatori presenti in tribuna guardassero solo lui e pensassero la stessa cosa: "questo è il nuovo giocatore"". Prandelli rivelò anche che l'Atalanta aveva pensato di portare a Bergamo quel campioncino di cui tutti gli scout lombardi parlavano, "ma sarebbe stato un sgarbo clamoroso nei confronti del Brescia", vista l'acerrima rivalità con i nerazzurri. All'Atalanta ci fu un riunione sul tema e fu il presidente Percassi a decidere: "Non dimenticherò mai le sue parole", scrive Prandelli nella sua introduzione. "Pirlo resta dov'è perché uno così non va messo in difficoltà. Deve continuare a giocare con felicità, divertendosi. Non voglio che subisca pressioni di alcun genere. Deve rimanere il giocatore di tutti". Percassi aveva capito tutto, aveva capito Pirlo".
Prandelli definisce Pirlo "un leader silenzioso". Lo paragona a Scirea: "Me lo ricorda in maniera incredibile. Il loro modo di essere è identico: le rare volte in cui nello spogliatoio decidono di intervenire, si zittiscono tutti".
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Nel libro, pubblicato nel 2013 Pirlo scrive che avrebbe lasciato la nazionale dopo il Mondiale brasiliano del 2014 (invece andò avanti fino al 2015, per appoggiare Conte nei suoi primi mesi da ct): "Smetterò di giocare con l'Italia, però fino ad allora nessuno – se non Cesare Prandelli per scelta tecnica – dovrà permettersi di chiedermi di abbandonare". E figurarsi se Prandelli avrebbe mai fatto una scelta tecnica del genere: "Non riesco a pensare a un solo motivo per lasciare fuori Andrea dalla Nazionale. Persone come lui e Buffon incarnano il vero spirito dell'Italia, se tutti portassero il loro stesso rispetto alla maglia azzurra, il nostro sarebbe un mondo migliore". Martedì sera Pirlo e Prandelli si abbracceranno. E non avranno bisogno di molte parole per dirsi tutto quello che si dovranno dire.
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