Immaginatevi un rotolo di "millebolle", il classico imballaggio in plastica (pluriball), avvolto intorno alla Terra per almeno 500 volte. Questa è la stima, secondo un nuovo report pubblicato dalla associazione ambientalista Oceana, di quanti rifiuti di plastica produce il colosso dell'ecommerce Amazon. E' una cifra, quella diffusa nel nuovo rapporto dell'associazione in difesa degli oceani, relativa al 2019 e che non tiene dunque conto del boom delle vendite online nel 2020 colpito dalla pandemia, in cui la società è cresciuta a dismisura arrivando a valere la cifra record di 200 miliardi di dollari di share capital. Ogni nostro ordine, ogni pacchetto confezionato e spedito, ogni imballaggio preparato, significa una produzione enorme, su scala globale, di rifiuti plastici che, se mal gestiti, rischiano di continuare a impattare pericolosamente sulla salute dei nostri oceani ed ecosistemi, dove ogni anno finiscono tra 8 e 13 milioni di tonnellate di plastica.
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Secondo Oceana la multinazionale americana lo scorso anno ha prodotto oltre 210 mila di tonnellate di rifiuti plastici difficili da smaltire. Una quantità enorme, che per Amazon però non è veritiera: il gruppo, impegnato negli ultimi anni nel tentativo di utilizzare materiali riciclabili e compostabili per le sue spedizioni, ha infatti smentito i dati di Oceana con una dichiarazione al sito The Verge in cui sostiene che la cifra è esagerata di almeno il "350%". Amazon afferma di utilizzare meno di un quarto del quantitativo di plastica indicato degli ambientalisti, più o meno 52 mila tonnellate l'anno, una quantità pur sempre gigantesca.
Il rapporto
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Oceana ribatte confermando le cifre del suo rapporto, indicando poca trasparenza sul reale uso della plastica da parte del colosso online e sostenendo che "anche se il numero esiguo rivendicato dalla società per l'impronta degli imballaggi in plastica fosse vero, sarebbe comunque un'enorme quantità di rifiuti di plastica, abbastanza da girare un film di millebolle intorno alla Terra più di cento volte, fatto che potrebbe causare problemi molto grandi per la salute degli oceani".
Il problema degli imballaggi relativi alle spedizioni è soprattutto legato alla difficoltà del riciclo. La plastica, di cui solo il 9% a livello mondiale viene recuperata e riciclata, è infatti un materiale complesso e, se a questo si aggiungono cattive abitudini e problemi nella differenziata, la questione a livello di impatto ambientale diventa spinosa.
Secondo un sondaggio fatto ai clienti Prime, per esempio, negli Stati Uniti solo il 2% degli intervistati dichiara di smaltire correttamente la plastica degli imballaggi. Le cifre diffuse da Oceana, calcolate senza dati forniti dall'azienda, pongono dunque i riflettori sia sulla crisi da inquinamento da plastica, sia sulla necessità di trovare sempre più materiali riciclabili per le spedizioni. La stessa associazione ambientalista, per esempio, sostiene che Amazon in India, dove è stato vietato l'uso di imballaggi e monouso, sta facendo bene ed "ha mostrato di essere capace di muoversi rapidamente sul tema, ma ora dovrebbe adottare le stesse misure a livello globale", dicono gli attivisti.
Per ora, senza dichiarare la quantità di imballaggi utilizzati, Amazon in un commento pubblicato da FreightWaves si limita a sostenere di condividere "l'ambizione di Oceana di proteggere e ripristinare la salute degli oceani del mondo. Sosteniamo un uso ridotto della plastica e dal 2015 abbiamo ridotto il peso degli imballaggi in uscita di oltre un terzo ed eliminato quasi un milione di tonnellate di materiale di imballaggio", si legge in una nota.
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Nonostante ciò Oceana afferma nel suo report che almeno l'1% dei rifiuti di plastica generati da Amazon si sta facendo strada nei fiumi e negli oceani del mondo, il che equivale a scaricare un furgone per le consegne pieno di plastica nei corsi d'acqua ogni 70 minuti.
Per cercare di mitigare il suo impatto sulla salute ambientale del Pianeta, Amazon – che ha recentemente assunto oltre 420 mila lavoratori spingendo la sua forza lavoro a oltre 1,2 milioni di occupati a livello globale – ha da tempo annunciato di voler intensificare i suoi sforzi per diventare carbon neutral entro il 2040, con un investimento di oltre 2 miliardi di dollari per energie rinnovabili e tecnologie sostenibili.
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Resta però aperta la necessità, a livello globale, di un ripensamento sugli imballaggi delle spedizioni. In diversi studi, tra cui quello della Scuola Superiore S. Anna di Pisa, è stato calcolato l'impatto dell'ecommerce sull'ambiente: questo genera un packaging il cui impatto ambientale è dieci volte superiore a quello di un classico sacchetto di plastica (182 kg di CO2 equivalente contro 11 kg di CO2 equivalente). Solo nel 2019 l'impronta ambientale generata da è stata di 44,4 milioni di tonnellate di CO2, quasi quanto quella dell'intera Svezia. Cifre impressionanti che obbligano lo stesso colosso a una seria riflessione, come vorrebbe Oceana, sul futuro degli imballaggi di plastica e della salute del nostro Pianeta.
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