FRANCOFORTE. Nessun profumo di croccante, niente giro sui cavalli della giostra. I mercatini natalizi sono stati chiusi, via Dpcm, in tutta Italia e per andare a curiosare tra palline o pastorelli del presepe bisognerà aspettare altri dodici mesi. Già è tanto se si riuscirà a scartare i regali a mezzanotte o bisognerà anticipare la nascita del bambino Gesù alle 21.30 del 24 dicembre. Siamo certi però che né lui, né tantomeno il bue o l'asinello se la prenderanno a male, i numeri della pandemia costringono tutti a cambiare regole e abitudini.
Prima che il coronavirus imponesse a tutti un Natale all'insegna della sobrietà (che poi è una contraddizione in termini: cosa c'è di più magnificamente kitsch delle luci a forma di candela o di alce che rischiarano le notti dicembrine?), siamo andati con largo anticipo nel luogo dove il Natale non ha eguali. Non a New York, sulla pista di ghiaccio del Rockfeller Center; né a Rovaniemi (Circolo Polare Artico) dove si erge il villaggio di Babbo Natale – che a essere pignoli dovrebbe essere spostato dalla Lapponia a Bari, dove San Nicola, un turco sbarcato in Italia, esercitò nel 300 dopo Cristo il suo ministero di vescovo caritatevole, dispensando doni a chi non poteva permettersi nemmeno un pezzo di pane: scomparirebbero neve e renne ma in compenso, a colpi di orecchiette e panzerotti, si spiegherebbe meglio la panciona del vecchietto in giubba rossa.
No, la vera capitale mondiale del Natale è Francoforte sul Meno, Germania, dove ogni anno a fine gennaio le aziende che producono articoli natalizi si ritrovano per la fiera campionaria Christmasworld, un colosso da oltre mille espositori provenienti da 44 Paesi che richiamano quasi 35 mila addetti ai lavori provenienti dai quattro angoli del globo: ogni tovaglia con stampato l'albero, ogni carta da regalo con l'agrifoglio e ogni luminaria gigante che troviate a Sydney o a Parigi è stata "scambiata" per via diretta o indiretta alla Messe Frankfurt, una cittadella di 592 mila metri quadrati che per attraversarla da cima a fondo occorrono dieci minuti di pulmino.
Fuori dai padiglioni il freddo è da giramento di testa, ma varcate le doppie porte sembra di stare alle Maldive e chi è venuto con i vestiti troppo pesanti suda come ad agosto a Firenze. D'impatto, l'effetto è straniante. In tutto il mondo, archiviato il Natale, si sono spente da meno di un mese tutte le lucine ma qui è come se il tempo avesse subìto un rinculo, riavvolgendo il nastro all'inizio di dicembre o fosse schizzato a razzo di 11 mesi avanti. Gli stand più scenografici sono quelli malati di gigantismo: si può essere impermeabili al Natale quanto si vuole, ma davanti a un Babbo fatto di led colorati alto quindici metri, un palazzo di cinque piani, l'effetto ohhh è inevitabile. Santa Claus è declinato in tutte le varianti: a torso nudo con tavola da surf o parannanza e piatto di spaghetti, vestito di pelle da centauro o con la maglietta a righe bianche e blu da marinaretto francese, che ride, che ronfa, che pensa, che mangia, si sbronza, s'arrampica, dondola, spia chissà che cosa. Koronex, un produttore polacco che soffia sfere in vetro, ne ha anche realizzato uno seduto sul wc, con giornale in mano e sguardo concentrato.
Fanno quasi spavento gli ordigni canterini: orsi bianchi, pinguini, renne, soldatini di latta in scala mille a uno che si sgolano in motivetti natalizi e scuotono le natiche di qua e di là. Dovrebbero ispirare tenerezza mentre invece sembra di essere sbattuti dentro il set di un film dell'orrore. Jingle bells, jingle bells, dove si nasconde il maniaco che ci farà a pezzi piccoli piccoli? Nel padiglione occupato dagli espositori cinesi riconosci quasi tutto quello che trovi a Milano e a Parigi, anche nei negozi che si danno un tono e non solo, come spesso si dice, sui banchetti degli ambulanti. Merce prodotta in milioni di pezzi, stampata in plastica e approssimativamente colorata, ma anche fatta di iuta, lana, legno e carta grigiastra per dare l'illusione ai consumatori più sensibili di celebrare un eco-Natale.
Altro pulmino, e altra botta di gelo, ed arriviamo in un padiglione ai margini del muro di cinta. Un po' defilati rispetto al percorso più battuto dai grossisti (quello appunto, del made in P.R.C., che suona più raffinato rispetto al banale made in China) ci sono gli artigiani del vetro europei: polacchi soprattutto, ma anche cechi, tedeschi e, sorpresa, qualche italiano. Certo, chi può permettersi di pagarsi lo stand a Francoforte, le spese di trasporto e sette notti in albergo per tutto lo staff è già un piccolo industriale, ma la qualità delle decorazioni salta comunque agli occhi. Percorrendo i corridoi sembra quasi di ritrovarsi a una fiera degli anni Cinquanta tra sfere col "buco" che rimandano mille riflessi e le forme che più tradizionali non si può: funghi, casette, puntali come non s'usano più.
Un giorno non basta per visitare tutta la Messe Frankfurt ma alle 18 le porte si chiudono e il resto della visita è rimandato al giorno successivo. Fuori, la città di Goethe è quasi deserta. Nel weekend molti funzionari della Banca centrale europea fuggono nelle loro città d'origine e comunque non stanno a gironzolare in strada. Le uniche vie piene di gente sono quelle intorno alla stazione. Su Moselstrasse, Elbestrasse e Taunusstrasse riconosci le cravatte di ordinanza dei venditori e dei compratori che fino a poche ore fa erano in Fiera. Decine di spacciatori cercano di mettergli in mano sostanze scaccia-fatica mentre loro, in silenzio, salgono e scendono dalle scale dei bordelli. Una via di fuga dall'overdose del Natale.
Sul Venerdì del 4 dicembre 2020Original Article
Commenti recenti