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Africa Day: il continente deve avere dignità alla pari dell’Occidente

AGI – Le celebrazioni, in Africa, hanno sempre un valore simbolico. Ricche di retorica ma anche di auspici. Appartengono alla vita delle comunità e degli Stati. Anche in questo giorno, in cui si celebra l'Africa Day, il continente si è mobilitato.

Oggi si ricorda la fondazione dell'Organizzazione dell'Unità africana (Oua), che avvenne il 25 maggio del 1963, sessant'anni fa. In alcuni paesi prende il sopravvento la retorica condita di anticolonialismo.

In altri, invece, si guarda al futuro e alle sfide, che retoriche non sono, che attendono un continente provato dalla pandemia di Covid, dall'inflazione dei prezzi dei generi energetici e, soprattutto, alimentari dovuto alla situazione economica globale aggravata dalla guerra in Ucraina.

Ma sono anche altre le sfide. Il terrorismo, per esempio, e tutt'altro che sconfitto anzi, dilaga in molti paesi come il Mali, Il Burkina Faso, che sembrano essere incapaci di farvi fronte nonostante i paesi siano stati squassati da colpi di Stato.

Dall'arrivo dei militari al potere la situazione, per così dire, si è aggravata e nulla ha potuto la retorica anti coloniale, in particolare il sentimento anti francese che pervade le popolazioni di questi due paesi, ma anche la simpatia, che è diventata rapporto strutturale con la Russia, che fornisce armi e mercenari della Compagnia Wagner. Tutto il Sahel è pervaso da una ondata jihadista senza precedenti, con le cancellerie internazionali preoccupate per la possibile saldatura con le organizzazioni criminali internazionali.

Cancellerie che, tuttavia, non sono state in grado di risolvere il problema perché hanno privilegiato l'intervento securitario – necessario – alla cooperazione allo sviluppo. Il terrorismo nel Sahel, così come in Somalia, si alimenta della povertà dilagante, dell'incapacità degli stati di far fronte ai bisogni della popolazione. Verrebbe da dire che l'arma più efficace per combattere i terroristi sarebbe mettere in campo riforme economiche e un welfare state degno di questo nome, così da togliere da sotto i piedi dei terroristi il loro terreno privilegiato, cioè la povertà. Lavoro non da poco.

Ma sono molte altre le sfide che attendono il continente, soprattutto economiche. L'intera Africa deve avere come faro la diversificazione economica, non può affidarsi, solo, alle materie prime, pur preziose per avere le risorse per creare un tessuto industriale manifatturiero. Significativo da questo punto di vista lo sbilanciamento delle relazioni con la Cina, il primo partener commerciale del continente.

Nei primi quattro mesi del 2023 le esportazioni cinesi verso i paesi africani sono cresciute del 26,9%, mentre quelle dell'Africa verso la Cina sono diminuite dell'11,8%. Uno squilibrio evidente, aggravato dal fatto che Pechino esporta in Africa prodotti finiti – tessile, abbigliamento, macchinari, elettronica – mentre le esportazioni africane verso la Cina sono dominate da materie prime come petrolio greggio, rame, cobalto e minerale di ferro, di cui il Dragone ha estremamente bisogno. Proprio per queste ragioni il continente deve lavorare con più determinazione per la costruzione di un tessuto produttivo manifatturiero.

Questa, inoltre, è la grande sfida che attende l'Area di libero scambio continentale africana (Afcta) – entrata in vigore nel gennaio del 2021 – un mercato di 1,2 miliardi di persone e di un Pil combinato di circa 3,4 trilioni di dollari. Un'area commerciale che stenta a decollare per la mancanza di infrastrutture, sicure, capaci di collegare gli stati ma soprattutto per la risibilità della manifattura africana.

Tra i paesi del continente non possono circolare, solo, le materie prime, queste se le accaparrano le multinazionali e portano beneficio a pochi. L'Africa vive un paradosso: è ricca di risorse, ma, per fare un esempio, i due colossi nella produzione di petrolio in Africa subsahariana – Angola e Nigeria – importano circa l'80% del loro fabbisogno in carburante. Da non trascurare che le materie prime sono soggette alle oscillazioni dei mercati internazionali.

Altra sfida è quella dell'energia elettrica. Ancora nel 2023 milioni di africani rimangono al buio, e anche questo è un paradosso viste le potenzialità del continente: solare, idroelettrico, geotermico, eolico, energie pulite come l'idrogeno verde. Mettere a sistema tutto ciò darebbe un impulso al mercato unico e quindi a uno sviluppo sostenibile ma, soprattutto durabile. Questione che solo un'organizzazione sovranazionale, come l'Unione Africana, può affrontare.

Poi, ci sono questioni puramente politiche. Lasciamo da parte i presidenti africani che durano in eterno senza produrre benefici per le popolazioni ma solo animati da bulimia di potere e, spesso, sostenuti dallo stesso occidente così attento allo stato di diritto. Il punto, per rimanere alle celebrazioni di oggi, e dare all'Unione africana un ruolo da pari nei consessi internazionali.

Un'ipotesi che si sta materializzando e potrebbe diventare concreta: un seggio, per così dire, permanente, non solo da osservatore, come spesso è capitato nei vari G20 o G7 che siano, dove di volta in volta, veniva inviato qualche presidente africano o gli stessi esponenti dell'Unione africana. Così come soddisfare la richiesta dell'Unione africana di avere un seggio permane al Consiglio di sicurezza dell'Onu.

Formalizzare e concretizzare una presenza “permanente” avrebbe il significato di trasformare il continente africano in potenza che decide, non più, dunque, con un ruolo subalterno che di volta negozia con questo o quello stato occidentale, ma protagonista del proprio futuro di fronte alle potenze internazionali. Tutto ciò sarebbe un cambio di paradigma perché porterebbe l'Africa a discutere, da pari, del proprio sviluppo sia economico sia politico e sociale, con l'occidente sviluppato. Non è una cosa qualunque, sarebbe epocale.

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