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L’antica arte giapponese di disegnare i pesci nata sui pescherecci

AGI – Un polpo, acquistato in pescheria, che arriva dalle profondità del mare della Liguria, adagiato su una tavolo da lavoro, che con una ‘spennellata' di nero di seppia, ‘rinasce' sulla carta pregiata di gelso o di riso. Per diventare un quadro unico e di effetto. E' la tecnica antichissima della stampa Gyotaku che prevede l'utilizzo del pesce vero come matrice per l'impressione della prima impronta. Poi c'è tutta la maestria di mani esperte, che sanno come ‘inchiostrare' orate, saraghi e branzini, e definire i minuziosi dettagli con un sottile pennello.

Esperta di questa tecnica affascinante è la pittrice Nadia Auleta che l'ha reinterpretata, utilizzando anche altri materiali di supporto come tessuti e legno. Le sue creazioni le abbiamo ammirate nell'atelier Fish Art Gallery di Camogli (Golfo Paradiso – Genova) proprio sul porticciolo

Ma sono esposte anche nel nuovo spazio a Casarza Ligure e in giro per il mondo in collezioni private a Londra, Parigi, Svizzera, Germania, Los Angeles. E' di un anno fa la sua mostra personale al Galata Museo del Mare di Genova. “Volevo rappresentare i pesci del nostro mare, ma in un modo diverso. Mi sono innamorata prima delle carte e poi della tecnica”ci racconta l'artista di Lavagna.

Questa tecnica nasce alla fine del settecento, a bordo dei pescherecci giapponesi, per esigenze pratiche: dovevano ‘catalogare' le loro prede più grandi. E non esistevano le macchine fotografiche. Dunque avevano inventato questo sistema: a bordo avevano nero di seppia e carta di riso. Facevano l'impronta del pesce dando il colore direttamente sull'animale, annotando peso e misura. Realizzavano una vera carta d'identità del pesce. Mettevano il timbro, che era una certificazione ufficiale e con quei disegni andavano a vendere al mercato. Chi acquistava, lo faceva guardando l'immagine su carta, e con quella, che era a tutti gli effetti un certificato, andava a ritirare il pesce reale”.

Nel tempo, abbandonate le valenze pratiche delle origini, la Gyotaku è diventata una disciplina pittorica vera e propria, si è evoluta, sono migliorate le carte e vengono rappresentati pesci di tutte le dimensioni, da quelli piccoli come le alici ai serpenti di mare lunghi oltre due metri. “Io uso le carte pregiate fatte a mano – spiega Auleta – in particolare la “Kozo”, una varietà particolare di gelso asiatico, del quale viene utilizzata la corteccia che opportunamente trattata e sbiancata, contribuisce alla creazione della caratteristica tessitura di questa carta”, che è tutta importata “in Italia non si trova, soprattutto quella di grandi dimensioni”.

Ed è cambiato il materiale per colorare i pesci. “Con il nero di seppia faccio ancora qualcosa, ma anche i maestri giapponesi adesso utilizzano soprattutto il ‘sumi ink', una china a base di carbone”. E sia chiaro che “sono tutti i prodotti lavabili, il pesce rimane commestibile, proprio come accadeva in passato quando poi era venduto dai pescatori giapponesi”. Si lava e si cucina.

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