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“Ecco che cosa ho provato quando il mio gatto è morto”

Julian Baggini è un filosofo e uno scrittore che qualche tempo fa ha dovuto dire addio a Pixel, il suo gatto.

Il veterinario ha infatti suggerito di sopprimerlo per farlo smettere di soffrire.

L'episodio ha ispirato una serie di riflessioni che Julian ha trasposto in un articolo recentemente pubblicato su Aeon.

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Si parte dalla scelta delle parole: negli anni Settanta si diceva "sopprimere", mentre stavolta il veterinario ha usato l'espressione "è il momento di pensare a salutare" Pixel. Quasi come se la soppressione (eufemisticamente chiamata eutanasia) fosse semplicemente un evento naturale, che accade a prescindere da una decisione umana.

"Quando abbiamo 'salutato' il nostro gatto, siamo stati male per giorni", ha scritto Julian, sottolineando di non aver mai visto la sua compagna piangere tanto.

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"La sensazione è stata più simile a quella di un lutto per una persona che alla perdita di una cosa, ma la morte di un animale non è né l'una né l'altra, perché il nostro rapporto con i nostri animali è diverso. Certo, siamo vicini agli animali, ma rimaniamo mondi distinti, perché incapaci di capire veramente cosa si prova a essere esemplari delle loro specie. La nostra relazione con loro è profonda, ma piena di asimmetrie.

Per quanto valore possiamo dare alle loro vite, e gliene diamo parecchio, non sarà mai pari a quello di una vita umana"

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La morte di Pixel ha indotto Julian a riconsiderare il rapporto con gli animali – non nell'accezione negativa del termine, ma nel senso di comprenderne meglio i limiti e i vantaggi. Per quanto possa essere forte il legame, scrive Julian, il gatto non è un nostro amico. Il dolore che proviamo quando tocca a lui è inferiore a quello che proveremmo se morisse un altro essere umano, argomenta.

Ma un cane o un gatto sono una sorta di introduzione a una migliore comprensione della natura in generale, in tutto il suo splendore – e in tutta la sua crudeltà.

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