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L'”unico sopravvissuto a Trump”, le memorie di Mike Pompeo

AGI – Appena uscita, l'ultima fatica letteraria di Mike Pompeo 'Never Give an Inch' ha scatenato un polverone. Conseguenza prevedibile visto che nelle oltre 400 pagine l'ex direttore della Cia ed ex segretario di Stato – "l'unico" sopravvissuto ai quattro anni di mandato di Donald Trump "senza dimettersi o essere cacciato", come sottolinea lui stesso – non dimentica quasi nessuno nella lista degli amici e dei nemici, interni ed esterni, svelando retroscena 'gustosi'.

JAMAL KHASHOGGI

Tra i dossier citati, non può mancare l'omicidio dell'oppositore saudita all'interno del consolato di Istanbul. Pompeo non esita a ridimensionare la feroce esecuzione, sottolineando che Khashoggi non era neanche un 'giornalista' (non che lui abbia una grande considerazione della categoria, anzi; ne parla apertamente come delle "iene") ma "un attivista politico che aveva sostenuto la squadra perdente".
E ricorda come Trump lo inviò a Riad dopo l'ondata di sdegno internazionale per l'assassinio per rassicurare il principe ereditario Mohamed bin Salman del sostegno degli Usa e per inviare un chiaro messaggio – "un dito medio" – "al Washington Post, al New York Times e ad altri piscialetto che non avevano presa sulla realtà".

INDIA-PAKISTAN

"Non credo che il mondo sappia esattamente quanto la rivalità India-Pakistan sia arrivata vicina a sfociare in una conflagrazione nucleare nel febbraio 2019. La verità è che nemmeno io conosco esattamente la risposta. So solo che era troppo vicina", sottolinea Pompeo, ricordando lo scontro tra New Delhi e Islamabad. All'epoca l'India lanciò attacchi aerei in territorio pakistano dopo aver accusato un gruppo militante di essere responsabile di un attentato suicida in Kashmir che aveva provocato la morte di 41 soldati. Il Pakistan rispose abbattendo un caccia indiano e catturando il pilota.
Pompeo, che era ad Hanoi, venne svegliato nella notte da New Delhi dove erano convinti che Islamabad si stesse preparando a lanciare un attacco nucleare ed erano pronti quindi a fare altrettanto. "Non fate nulla e dateci un minuto per sistemare la cosa", fu la risposta. I diplomatici americani riuscirono a convincere le due parti che "nessuno si stava preparando a usare il nucleare".
Il capo della diplomazia americana non si limita a questo, ma aggiunge un commento poco lusinghiero sul suo omologo indiano, Sushma Swaraj, definito "un attore non importante nella squadra della politica estera". "Invece, ho lavorato molto più a stretto contatto con il consigliere per la sicurezza nazionale Ajit Doval, un vicino e fidato confidente del primo ministro Narendra Modi".

NORD COREA

Pompeo ricorda una missione segreta a Pyongyang nel marzo 2018, quando era ancora direttore della Cia, per organizzare un incontro tra Trump e Kim Jong-Un. Raccontando il faccia a faccia, ricorda che il leader nordcoreano gli disse: "Non pensavo che ti saresti presentato. So che hai cercato di uccidermi". Affermazione alla quale l'allora direttore della Cia rispose a tono: "Mr President, sto ancora cercando di ucciderti".
Sempre a proposito di Kim, Pompeo cita anche un aneddoto avvenuto durante l'incontro con Trump a Singapore, quando l'allora presidente americano tentò di spiegare al leader nordcoreano il nomignolo che gli aveva affibbiato, 'Little Rocket Man', prendendo spunto dalla canzone di Elton John. "Trump disse che era un bellissimo pezzo e che intendeva la citazione come un complimento", scrive Pompeo, secondo cui Kim non conosceva Elton John ma rispose ridendo: "Rocket Man, ok. Little, non ok".

NETANYAHU

Pompeo nel libro ribadisce la "relazione speciale" tra Usa e Israele, ma rivela anche come nel 2019 l'allora premier Benjamin Netanyahu abbia detto una falsità per il suo tornaconto personale. Secondo quanto riferisce l'ex segretario di Stato, tre anni fa il leader del Likud fece trapelare intenzionalmente un impegno inesistente di Washington a favore di un trattato di difesa formale tra Stati Uniti e Israele per guadagnare punti durante la dura campagna elettorale che si stava svolgendo nello Stato ebraico. "Era falso ma per lui ha funzionato", commenta.

JOHN BOLTON

La relazione con l'ex consigliere per la Sicurezza nazionale non è mai stata 'rose e fiori', anzi. I due, negli ultimi anni, si sono scambiati accuse al vetriolo e Pompeo non si tira indietro neanche stavolta, definendolo un "egoista, traditore e perdente di m…".
Per l'ex segretario di Stato, Bolton dovrebbe essere in prigione per aver "diffuso informazioni riservate". "Spero un giorno di poter intervenire in un processo penale come testimone dell'accusa", scrive, puntando il dito contro l'ex consigliere cui "importava molto di più prendersi il merito e nutrire il suo ego che eseguire le direttive del presidente".

E ricordando il libro di memorie dell'ex consigliere uscito nel 2020 ('In The Room Where It Happened: A White House Memoir'), lo paragona a Snowden, con la differenza che almeno la 'gola profonda' del Datagate "ha avuto la decenza di non mentire sul suo movente", mentre Bolton ha cercato di far passare come "un atto di servizio pubblico per salvare l'America da Donald Trump" il suo unico desiderio di "fare soldi". "Le sue storie egoistiche contenevano informazioni riservate e conversazioni profondamente delicate che coinvolgevano un comandante in capo in carica. Questa è la definizione stessa di tradimento", sostiene Pompeo.

NIKKI HALEY

L'ex direttore della Cia sferra un duro colpo anche contro uno dei possibili contendenti nelle primarie repubblicane per il 2024, l'ex ambasciatore Usa all'Onu, accusandola di aver complottato nel 2018 con Jared Kushner e Ivanka Trump per essere nominata vice presidente al posto di Mike Pence mentre era in carica presso le Nazioni Unite. Non solo, Pompeo critica sia il ruolo di ambasciatore all'Onu – "un lavoro che è molto meno importante di quanto si pensi" – sia la performance della stessa Haley: "Perché avrebbe dovuto lasciare un lavoro così importante in un momento così importante?", ironizza.
E conclude la tirata, ricordando che l'ex deputata ha "abbandonato" Trump nel dicembre 2018 come aveva fatto con "il grande popolo della Carolina del Sud", dimettendosi da governatore.

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