Spunta un'altra testimone nel caso irrisolto del delitto del trapano, della morte di Maria Luigia Borrelli, l'infermiera massacrata il 5 settembre del 1995 nei carruggi di Genova. Una collega, dopo 27 anni, avrebbe raccontato agli investigatori della Squadra Mobile che anche lei alcuni giorni dopo l'omicidio avrebbe visto il medico (unico indiziato) di quell'ospedale con dei graffi sul collo e sul viso.
E' uno dei nuovi elementi, fra i tanti che vengono presi in considerazione da quando, dal luglio scorso, il pm Patrizia Petruzziello ha riaperto il fascicolo e puntato le attenzioni su quanto la figlia di una infermiera ha raccontato al giornalista Marco Menduni del Secolo XIX: di aver saputo dalla mamma che l'assassino potrebbe essere stato un medico con il quale Luigia Borrelli avrebbe avuto una relazione sentimentale. Da tenere in considerazione che la donna di 42 anni si prostituiva in vico Indoratori, nel Centro Storico, e che la stessa prestava denaro a interessi esorbitanti. Tant'è che la galassia degli usurai e degli strozzati è un altro mondo in cui si stanno muovendo le indagini. Luigia potrebbe aver prestato soldi proprio nel reparto dell’ospedale, prima di dedicarsi all’assistenza agli anziani in forma privata e di entrare nel mondo della prostituzione per pagare i debiti lasciati dal marito.
Il cold case
Delitto del trapano, le indagini sul mondo dell'usura: "Anche la vittima prestava soldi"
di Marco Lignana
Tra i "clienti" di Borrelli potrebbe esserci stato il primario ospedaliero. A fare il nome del medico, ormai deceduto, è stata proprio una donna, all’epoca dei fatti poco più che bambina, che ha rivelato le confidenze ricevute dalla mamma infermiera: che il primario nei giorni dopo l’omicidio si presentò al lavoro con il volto segnato, tanto che qualcuno gli chiese se aveva fatto a pugni con il gatto. Borrelli, era emerso dall’autopsia, si era difesa e aveva graffiato il suo assassino tanto che le era saltata un’unghia e sotto le altre erano rimasti pezzi di pelle. Adesso, indagando nell'ambiente dell'ospedale (di cui per ovvie ragioni omettiamo il nome) gli agenti della Squadra Mobile, diretti da Stefano Signoretti, avrebbero avuto la conferma di quei graffi da un'altra infermiera ancora in vita.
Come si ricorderà, la vittima era stata prima picchiata, poi colpita con uno sgabello e infine massacrata in più punti del collo e del volto con il trapano. Prima di essere finita, avrebbe lottato e sotto le sue unghia erano state trovate tracce di Dna: di un uomo. Stando però a quanto assicura il procuratore capo Nicola Piacente, non trova riscontro invece l'ipotesi che per l'omicidio sia stato utilizzato un bisturi: "Dalle autopsie non risultano ferite inferte da questo strumento".
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