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Sachs: “Con la guerra una crisi alimentare globale, metà del Pianeta faticherà a mangiare”

«Siamo nel mezzo di una pesantissima crisi alimentare mondiale che si aggrava ogni giorno che passa». Jeffrey Sachs, classe 1954, docente alla Columbia di New York e presidente del gruppo di lavoro sullo sviluppo sostenibile dell’Onu, è l’economista che più si è impegnato sia nei progetti di assistenza ai Paesi poveri che nella transizione verso l’economia di mercato dell’area ex Urss: è stato consulente dei governi di Polonia, Slovenia, Estonia e della stessa Russia nel passaggio cruciale fra Gorbaciov ed Eltsin. Ora definisce «ripugnante, crudele e sacrilega, proprio come dice Papa Francesco» l’invasione dell’Ucraina, ma è anche convinto che «la ricerca della pace è la necessità più urgente visto che decine di Paesi dipendono dalle forniture russe e ucraine di grano, avena, mais, fertilizzanti, oltre che idrocarburi, e non possono più farne a meno».

Per fare la pace bisogna essere in due.

«La via della diplomazia sembra bloccata. L’Onu avrebbe la capacità di intervenire e poi garantire la tregua con i caschi blu, invece è paralizzata. Si prosegue con le sanzioni che esasperano i rincari oltre che la rabbia di Putin, e con il riarmo. Ora cosa stiamo aspettando? Che si scateni una battaglia furibonda e sanguinaria nel Donbass a cui assistere da spettatori? La via sembra spianata verso ulteriori lutti e devastazioni, una spirale che porta all’apocalisse».

La crisi alimentare è dovuta alla guerra o a una serie di eventi più difficile da sciogliere?

«Ancora una volta i Paesi più poveri fanno le spese della tempesta perfetta che si è scatenata sulle loro teste. I danni del cambiamento climatico in termini di alluvioni, ondate di calore, siccità, non credo che possa più negarli nessuno. Si innestano su una crescita esponenziale della popolazione: l’Africa aveva 476 milioni di abitanti nel 1980 e nel 2020 era arrivata a un miliardo e 340 milioni. Poi ci sono stati gli sconvolgimenti della catena commerciale causati dall’instabilità legata al Covid, con una raffica micidiale di rialzi mai visti, oltre naturalmente ai danni del Covid stesso, e infine la guerra. E io aggiungo fra i fattori di crisi anche le sanzioni, che esasperano i problemi: cibo, finanza, energia, catene del valore. Tutto questo si accanisce sugli anelli più deboli del pianeta».

Perché i Paesi più poveri votano contro le mozioni che condannano Mosca?

«Proprio perché la cosa più importante è chiudere al più presto il conflitto, a costo di consentire qualche autonomia nel Donbass e di rinunciare una volta per tutte all’ingresso dell’Ucraina nella Nato, magari ponendola in una neutralità non umiliante come Cipro, Malta, Austria, Svezia, Finlandia. E fermando il processo di unione delle ultime due all’alleanza. I Paesi poveri, democratici o no che siano, sentono che le sanzioni e ancora peggio il riarmo perpetuano la guerra e loro ne pagheranno le conseguenze».

Avete qualche stima sugli effetti in termini di impoverimento?

«Circa 3 miliardi di persone erano povere al punto di non avere un’alimentazione sana già prima degli aumenti dei prezzi alimentari dell’ultimo anno e mezzo. Con il precipitare degli eventi fino alla tragedia della guerra, il numero crescerà probabilmente di una cifra fra i 500 milioni e il miliardo. Metà della popolazione terrestre è in difficoltà anche gravissime. Togliere dal mercato un terzo delle forniture di grano, tale è il contributo di Russia e Ucraina, è una condizione che non può durare».

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