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Meditare persino in ospedale, ma come scienza comanda

Dimentichiamo la new age, il misticismo e il profumo d'incenso. La meditazione ormai si pratica in ospedale, e si studia in laboratori che ne riconoscono l'efficacia. In particolare, la mindfulness, cui una testata importante come Jama ha di recente dedicato un editoriale, a margine di uno studio sui benefici di questa pratica per le gestanti a rischio.

"Sono molto soddisfatta, dei risultati ottenuti ma anche del fatto che Jama abbia mostrato interesse per questi temi", ci ha spiegato l'autrice dell'editoriale Margareth Bublitz, psicologa e ricercatrice presso il centro dedicato alle ricerche sulla mindfulness della Brown University, Rhode Island: "C'è un interesse crescente della comunità scientifica per la mindfulness: ci rendiamo sempre più conto dei danni causati dallo stress, è logico dedurre che questa pratica, mirata proprio a ridurre lo stress, possa contribuire alla prevenzione e al trattamento di varie patologie".

Il fatto è che la ricerca è sempre più rigorosa e "non presenta le tecniche meditative come una panacea, ma come un supporto importante per il benessere psicofisico", aggiunge la neurobiologa Valeria Oliva, che lavora nel laboratorio di Fadel Zeidan all'università della California, San Diego, un altro dei centri in prima linea su questo tema: "Sono le conferme che arrivano dagli studi a rendere più aperto l'atteggiamento della comunità medica".

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Una parola, tante pratiche diverse

Jon Kabat-Zinn, il "padre" della mindfulness moderna, l'ha definita come un termine-ombrello che copre un gran numero di pratiche basate sull'attenzione, sulla consapevolezza e sull'accettazione. Ma, ricorda Massimo Tomassini, ricercatore e autore di vari saggi sul tema: "La definizione di mindfulness offerta da Kabat-Zinn, cioè la consapevolezza che emerge attraverso il prestare attenzione intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante, alle cose come sono, è sostanzialmente corretta in quanto definisce qualcosa che tende a disinnescare il "pilota automatico" che guida la maggior parte delle nostre azioni. Ma non è sufficiente a soddisfare l'esigenza di scienziati e psicologi che vogliono "misurare" gli effetti della mindfulness".

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Dal punto di vista pratico, il modello classico di intervento è quello dell'Mbsr – Mindfulness based stress reduction – il corso per la riduzione dello stress proposto da Kabat-Zinn negli anni '90 del secolo scorso, basato su otto sessioni di pratica di gruppo settimanali, una giornata seminariale e una pratica quotidiana di quarantacinque minuti per sei giorni la settimana.

Un modello ancora oggi diffuso cui si sono aggiunti percorsi specifici come la Mindfulness based cognitive therapy o gli interventi destinati alle organizzazioni. "Ma identificare la mindfulness con una tecnica è limitativo, si tratta piuttosto di un modo di vivere, un atteggiamento nei confronti di quanto accade", sottolinea Franco Cucchio, insegnante Mbsr e responsabile della scuola italiana mindfulness Motus Mundi: "È una condizione della mente che ha effetti terapeutici ma non è una terapia: quelli che definiamo risultati sono effetti collaterali benefici di uno stato di presenza incondizionata e aperta".

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Cosa dicono gli studi

Non stupisce che sia difficile tradurre in ricerca una materia così complessa, in cui le variabili da prendere in considerazione sono varie, tanto che spesso i risultati degli studi sono definiti incoraggianti ma non conclusivi. "Oggi però cominciamo a disporre di meta analisi, cioè studi che prendono in esame quanto pubblicato finora su un determinato tema, indispensabili per confermare la validità dei risultati", sottolinea Bublitz. Le difficoltà restano, in particolare quando si tratta di valutare dati clinici.

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Ci sono state ricerche con la risonanza magnetica funzionale per misurare le differenze nella struttura cerebrale tra novizi e meditanti esperti, con risultati convincenti: "Qualcosa di simile alle vecchie ricerche sull'efficacia della terapia cognitivo comportamentale confrontata con farmaci antidepressivi", spiega la ricercatrice.

Ma su una pratica così articolata è difficile realizzare studi scientifici che prevedono il confronto tra persone trattate realmente e altre solo con placebo. "Per risolvere la difficoltà abbiamo ideato una "falsa meditazione", in cui i praticanti sanno di stare facendo mindfulness mentre in realtà svolgono una pratica priva di effetti terapeutici", spiega Oliva. In questo modo, i ricercatori cercano di separare gli effetti reali della pratica dall'effetto placebo legato alle aspettative.

Meditazione contro audiolibro

In altri casi si usano tecniche diverse, per esempio confrontando la pratica mindfulness con l'ascolto di un audiolibro: "In ogni caso i partecipanti sono assegnati in modo casuale ai diversi gruppi, e i tecnici che elaborano i dati non sanno chi appartiene al gruppo di pratica o a quello di controllo, per non influenzarne il giudizio", ricorda Oliva.

"Il problema semmai è che spesso si usano tecniche non standardizzate, il che rende difficile riprodurre gli stessi risultati in laboratori o paesi diversi. Senza dimenticare che le varie pratiche possono concentrarsi su aspetti diversi, come percezioni, compassione, attenzione focalizzata, e non è facile capire quale produca effetti benefici: nel nostro laboratorio ci stiamo occupando proprio di risolvere questo problema".

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I benefici per i pazienti

Nonostante le difficoltà i risultati arrivano, dalle ricerche come dall'esperienza con i pazienti. "Sappiamo che la mindfulness è efficace per trattare lo stress, in particolare lo stress cronico originato da cause interne che può avere ricadute su sistema cardiovascolare e immunitario", spiega Cucchio.

Agendo su varie aree cerebrali e a livelli diversi – emotivo, fisiologico e cognitivo – risulta efficace anche per gestire dolori cronici di origine non definita: "L'ho sperimentato personalmente con persone colpite da fibromialgia o altre forme di dolore cronico", aggiunge: "Va ricordato che la mindfulness non può essere considerata un antidolorifico, è un modo per modificare il nostro atteggiamento nei confronti del dolore e migliorare la qualità della vita recuperando le proprie potenzialità".

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Un aiuto per la terapia del dolore

Le varie tecniche hanno migliaia di anni e sono spesso state utilizzate nella terapia del dolore cronico, primario o secondario. Non azzerano il dolore, ma, precisa la neurologa Licia Grazzi dell'Istituto Besta di Milano, autrice di studi sulla mindfulness nel trattamento dell'emicrania: "Inducono una maggiore coscienza del sintomo e aiutano a conviverci. Associarle ai farmaci dà risultati più significativi e duraturi".

Sia per gli adulti che per i bambini, quando le forme croniche sono frequenti e hanno una componente emotiva rilevante, la mindfulness aiuta infatti a diventare più consapevoli e a rallentare l'attività della mente, la tendenza a ipercontrollare.

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Anche studi realizzati nel laboratorio di Fadel Zeidan mostrano come la mindfulness riduca la percezione del dolore, anche in persone in cui i recettori oppioidi sono bloccati con un farmaco. Un risultato quindi che nasce da un meccanismo diverso da quello degli antidolorifici. "Ma stiamo osservando anche effetti positivi su depressione, ansia e disturbi correlati", spiega Oliva: "In generale la mindfulness si mostra efficace per regolare emozioni e sentimenti, oltre ad agire sul sistema immunitario riducendo i marker infiammatori".

Il miglioramento dell'empatia e delle capacità relazionali

Altre ricerche riguardano la possibilità di usarla per migliorare le relazioni con gli altri sviluppando l'empatia, utile in particolare per chi lavora a contatto con gli altri, ma anche per chi ha difficoltà relazionali, per esempio le persone autistiche o chi soffre di ansia sociale.

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Per chi non è indicata

Inevitabilmente ci possono essere anche controindicazioni. "Le pratiche dette mindfulness-based non funzionano per tutti e per tutto", ricorda Tomassini: "Possono anche essere nocive, per esempio per le persone fragili che attraverso di esse possono entrare in contatto con parti di sé che non riescono a gestire, o per chi si illude di avere trovato una via moderna verso il nirvana".

Al contrario, ricordano gli esperti, la mindfulness è adatta soprattutto per persone consapevoli di sé e del proprio disagio. E, ricorda Cucchio: "Non sostituisce una psicoterapia, ma può integrarla. Per chi soffre di disturbi seri serve comunque il supporto di uno psicoterapeuta".

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I vantaggi comunque ci sono: i benefici arrivano in tempi brevi – il programma Mbsr dura due mesi, ma alcuni studi segnalano miglioramenti dopo pochi giorni di pratica – e per la sua flessibilità ben si adatta alle complicazioni dell'era Covid. È in corso uno studio finanziato dai National Institutes of Health per testare l'efficacia di una serie di sessioni telefoniche per donne a rischio di ipertensione in gravidanza. E, spiega Bublitz: "I primi dati mostrano che un intervento di questo tipo è particolarmente adatto a chi per vari motivi ha difficoltà a seguire sessioni in presenza".

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E anche l'istituto neurologico Besta di Milano durante il lockdown ha attivato sessioni on line offerte alla cittadinanza: "La mindfulness – conclude Grazzi – è un'opportunità preziosa per individuare risorse dentro di noi, e quando necessario può aiutarci a potenziare l'effetto di alcune terapie".

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