L’immagine del guardaboschi Olexii e delle sue capre in un villaggio a nord di Kiev, e la catasta di legna, e il riflesso del sole nella giornata di metà aprile – tutto mi ha fatto pensare a qualcosa come una tregua. Non una tregua ufficiale, ma uno spazio di sollievo, un’ora protetta, al riparo; un segmento di vita quotidiana sottratta alla minaccia. Quegli animali placidi "che si contentano di poco" hanno una loro grazia e comunicano una speciale calma. Non esistono solo tregue dichiarate; esiste il respiro che torna quieto, il battito che si normalizza. In guerra si sopravvive, ma qualche volta si ha l’impressione di poter vivere. Ho ricordato i versi di un grande poeta polacco, nato a Leopoli, Adam Zagajewski. Ho ripensato al suo sforzo di cantare il "mondo mutilato".
Prova a cantare il mondo mutilato. Ricorda le lunghe giornate di giugno e le fragole, le gocce di vino rosé.
Le ortiche che metodiche ricoprivano le case abbandonate da chi ne fu cacciato.
Devi cantare il mondo mutilato. Hai guardato navi e barche eleganti;
attesi da un lungo viaggio, o soltanto da un nulla salmastro.Hai visto i profughi andare verso il nulla, hai sentito i carnefici cantare allegramente.
Dovresti celebrare il mondo mutilato. Ricorda quegli attimi, quando eravate insieme in una stanza bianca e la tenda si mosse.
Torna col pensiero al concerto, quando la musica esplose. D’autunno raccoglievi ghiande nel parco e le foglie volteggiavano sulle cicatrici della terra.
Canta il mondo mutilato e la piccola penna grigia persa dal tordo, e la luce delicata che erra, svanisce e ritorna.
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