"Abbandonare le fossili per sole e vento come uniche alternative sarà impossibile", "troppo territorio verrebbe sottratto all'agricoltura e alla biodiversità". Vi sarà sicuramente capitato di sentire una di queste frasi almeno una volta. Crisi ecologica e crisi climatica sono in effetti due facce della stessa medaglia. Due prodotti dell'antropocene e dell'azione dell'uomo sulla natura e sull'ambiente. Ma sostenere che la soluzione per l'una impedisca di risolvere l'altra appare pessimistico, per non dire falso.
I dati
di
Italy for Cimate*
A confermarlo è una nuova analisi dell'Università di Southampton che ha dimostrato come l'espansione dell'energia green in futuro non sia necessariamente in contrasto con la difesa di aree e specie protette, lo stop alla deforestazione e la sicurezza alimentare.
Lo studio, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, sfrutta un database di oltre 24.500 impianti green operanti in 153 Paesi e ne stima eventuali interferenze con aree protette limitrofe, così come il loro "peso" sulla biodiversità locale. Il responso è chiaro: "il conflitto tra la transizione energetica e la conservazione della biodiversità del Pianeta è molto meno severo di quanto pensavamo, a patto che le rinnovabili siano sviluppate con politiche virtuose e stretto controllo normativo", spiega Sebastian Dunnett, ricercatore al dipartimento di Scienze geografiche e ambientali dell'Università di Southampton e primo autore del lavoro.
Il dibattito
di
Luca Fraioli
Dunnett è tra i più attivi esperti in tema di impatto ambientale delle fonti rinnovabili, con il suo team, si è chiesto quanto costerebbe un pieno raggiungimento degli obiettivi dell'Accordo di Parigi in termini di degrado degli ecosistemi e deforestazione. "I risultati sono davvero incoraggianti – prosegue – e ci suggeriscono che è perfettamente possibile, se vigileremo con attenzione, installare molta più capacità da solare ed eolico per affrontare l'emergenza climatica senza minacciare specie e aree in via di estinzione".
In dettaglio, secondo i calcoli degli esperti, a oggi solo il 15% delle turbine eoliche onshore e dei pannelli fotovoltaici è stato installato in aree critiche o protette. Poche le zone del mondo in cui la percentuale aumenta oltre soglie critiche: su tutte il Brasile e alcune zone del Medio Oriente, dove la "fame" di energia della politica sembra prevalere sulla tutela dell'ambiente.
Fridays for Future
di
Giacomo Talignani
Ma c'è di più: l'espansione di impianti green non rappresenterebbe una minaccia nemmeno in quei territori "con elevata densità di popolazione o forte presenza di specie protette", a patto che – si legge nella pubblicazione – "si esegua un'attenta pianificazione dei progetti con opportune valutazioni degli impatti". Dinamica che sta avvenendo in special modo in Europa e Nordamerica. Dalla produzione di pannelli fotovoltaici, all'esercizio dei grandi impianti idroelettrici fino al decommissioning delle turbine eoliche: le fonti rinnovabili hanno senza dubbio un impatto sulla biodiversità lungo tutto il loro ciclo vita. Ma i benefici di un loro sviluppo sempre più esteso sono esponenzialmente più elevati dei costi.
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